Continua l’estate di governo in Italia. Anno 2018. Le nazioni che si affacciano sul Mediterraneo sono in affanno. La Spagna è retta da un Governo minoritario dopo una delle più laceranti vicende della sua storia di Stato con più nazioni: la rivendicazione catalana con seguiti di arresti, fughe di leader, crollo della credibilità del partito centrista ed estremo ricorso alla fragile autorevolezza monarchica. La Francia, con un’economia vacillante (“qui tombe” per riprendere il titolo di un’opera fondamentale di Nicolas Baverez?) e che non dispone più di un presidente in grado di sostenere un qualsivoglia esporsi all’opinione pubblica, come dimostra la sua assenza (unitamente al capo del governo) alla cerimonia per ricordare la battaglia di Amiens dove inglesi e francesi mutarono le sorti della Prima guerra mondiale e sconfissero gli imperi centrali. Per non parlare dell’incerta situazione balcanica scossa da tensioni mai sopite e da divergenze economiche e culturali che si accrescono piuttosto che attenuarsi, con una sorda lotta tra Usa e Russia e presenza dell’integralismo islamico sempre più aggressiva.



Uno sfasciume pendulo che giunge a un’estrema gravità in quello che era un tempo il fianco sud della Nato, antemurale a un Urss che si è trasformata nell’avversario geopolitico di sempre, con l’aggravante che l’antemurale greco-turco — turbolento in permanenza di pluridecennale precarietà come dimostra l’incancrenita situazione cipriota — non esiste più. La Grecia, dopo la cura per austerità — interpretata dai cantanti neoclassici da operetta — la si è trasformata in marca tedesca nel vero e proprio senso civilistico della parola, con tutte le infrastrutture logistico-trasportistiche in mano cinese e tedesca. La Turchia sconta il mito dell’onnipotenza neo-ottomana di una frazione dello Stato kemalista trasformatosi in un gigantesco neo-patrimonialismo islamico di inaudita potenza politica ma dalle fragilissime basi economiche, come ben dimostrava preveggente — tre decenni or sono — il mio compianto maestro Kemal Karpat.



Le rive mesopotamiche sono in fiamme, a partire da un Libano che soffre della mezzaluna sciita iraniana e non riesce a liberarsi dei ventinove anni di occupazione siriana — dal 1978 al 2007; lo scenario nordafricano, dove la stabilità egiziana non è sufficiente a far voltare pagina a un’area in cui gli scontri tra Francia, Regno Unito e Italia sono ritornati a livello d’inizio Novecento, è incandescente. La ragione è la ancora perdurante debolezza della politica Usa, che fatica a uscire dal precipizio in cui l’hanno gettata prima i neocon poi gli umanitaristi del liberismo obamaniano dei diritti.



L’Italia, immersa nel Mediterraneo lago atlantico, tiene: forma un governo con immense speranze di cambiamento nell’elettorato e profonde spaccature nell’esecutivo che — con turbolenze — su quelle speranze ha provato a costituirsi. Ed è in questa situazione drammatica, instabile e turbolenta che un Governo in Italia si forma e questo costituisce nell’arena internazionale — dominata ancora per fortuna dagli Usa, qualsivoglia presidente governi la prima nazione del mondo — una risorsa essenziale fondamentale in un’Europa indebolita e allo sbando, che deve ricercare un suo futuro tutto rivedendo e cambiando.

Questa era la forza in potenza dell’estivo Governo, ma la si sta depauperando con incredibile rapidità con conseguenze gravi. La radice del male sta nel non avere — si cita un classico — una linea di condotta. Senza una chiara linea di condotta e in primo luogo senza fare come Cortes: tagliando i ponti con il continuismo eurofilo senza esclamazioni e riaffermando la permanenza nell’euro, ma contestualmente senza clamori non conservando ai posti di comando ragionieri dello Stato e alti burocrati che remano contro (le leggi Bassanini in Italia servono solo per annichilire i migliori e nominare i servi e i regolatori cleptocratici). Era ed è tutta una cultura neoliberista che invece andava sconfessata con la calma olimpica del negoziatore e nella convinzione che con la speculazione finanziaria occorre lavorare per prevenirla.

Il ministro dell’Economia doveva e deve, fortissimamente deve, fare il tour delle capitali europee con il ministro per gli Affari europei e il diligentissimo ministro degli Esteri. E il ministro dell’Economia doveva, come ha ricordato il sempre saggissimo Gustavo Piga su queste pagine, elaborare un piano pluriennale votato alla crescita e agli investimenti utilizzando strumenti esistenti come la Cassa depositi e prestiti e com’è possibile fare seguendo una politica che elimini le rendite ricardiane e applichi il federalismo fiscale con i costi standard. Il tutto accompagnato da un ministro del Lavoro che delegifera e smantella piuttosto che burocratizzare per abbassare il tempo definito di contratti con tetti di poco inferiori ai precedenti, imponendo alle imprese di trasformarsi in poeti di causali invece che in imprenditori, padroni e operai e tecnici impegnati nell’aumento della produttività piuttosto che nelle pagine delle forche caudine burocratiche.

L’indicazione della migliore politica del lavoro viene dai lavoratori sfruttati più che mai dell’agricoltura, che aprono la via a una lotta per i diritti e per i doveri non scritti sulle pandette che arricchiscono giuslavoristi, ma sulle narrazioni invece “delle lotte del lavoro”, secondo le pagine di un Luigi Einaudi che non si cita mai.

Insomma, si ha un bel dire che la tenuta del Governo italico d’estate dipende dalle elezioni di midterm negli Usa: elezioni che in primo luogo si terranno quando il caldo non ci sarà più e la Siberia dell’austerity invocata da un’agguerrita parte dello Stato profondo e dalla borghesia vendidora può già aver assiderato tutto quanto.

Il Governo deve cambiare rotta e in fretta. I voti auspicati dai sondaggi sbiadiscono in fretta, ci ha ricordato Giorgio Vittadini, e i produttori italiani non possono assistere impotenti al blocco di industrie come l’Ilva e di infrastrutture come la Tap e la Tav vitali per il nostro italico futuro per il rumor di manette agitato dai sempiterni Robespierre: piacciono alle folle, che prima o poi si stancano…

Se non ci sarà la svolta, le pressioni della borghesia vendidora si salderanno con la disperazione di una borghesia nazionale seria e coscienziosa che ha eletto e legittimato una componente essenziale di questo governo sperando così di stabilizzare la mucillagine peristaltica con cuspide eterodiretta che minaccia di intimorire anche la signora Gina (la quale non vuole che i nipoti prendano la varicella e meno che mai la poliomielite).

Dalla geopolitica eccoci giunti alla vita, alla vita vera, quella di tutti i giorni, quella dove la politica deve ritornare non solo a confrontarsi, ma a prendere vita, a prendere il “buon senso” e la misericordia per i più deboli.