Al Viminale lo chiamano “il fantasma”, soprannome un po’ banale, ma si sa che prefetti e poliziotti non svettano per ironia. Il fantasma è il ministro Matteo Salvini, classe 1973, secondo leghista a occupare la poltrona di ministro degli Interni dopo Roberto Maroni. Le coincidenze tra i due titolari del Viminale finiscono qui: Maroni conquistò subito i prefetti, Salvini magari ci riuscirà più tardi, per ora incassa i malumori della categoria di fronte alla sforbiciata di ruoli strombazzata su giornali e social. Inoltre Maroni divenne padrone della macchina ministeriale che Salvini ha invece delegato interamente al suo capo di gabinetto, l’ex prefetto bolognese Piantedosi (che però si chiama Matteo come lui). Di qui nasce la leggenda che al Viminale abiti il fantasma: appare un giorno alla settimana, preferibilmente di giorno, sui social, nelle ore di punta dei like, sulle foto con sfondo di bandiere e arredi lignei ministeriali. Il doppio ruolo di governo e di partito è un antico dilemma della politica italiana; Salvini l’ha risolto facendo solo il leader di partito, il ministero è una grande opera subappaltata alla struttura.



“Per carità, si può fare” spiega un prefetto del Nord che ovviamente non si fa nominare. “Il Viminale è un’eccellenza che funziona da sola, tutti i politici ci aspirano perché è una fabbrica di belle figure, tutto sta a guidarlo a filo di gas senza pretendere di imprimere svolte clamorose”.



Ecco, il rischio è questo: a fini social-televisivi il ministro vuole qualche effetto speciale, e rischia la musata. La prima lo attende sulle scorte: sull’onda del populismo le vuol tagliare tutte, ma per ora sta dando l’impressione di usare a fini politici il potere di concedere o revocare la tutela. Emblematico il caso Saviano: il ministro ha gridato a distesa che gli avrebbe tolto la scorta, che invece rimane doverosamente assegnata allo scrittore più esposto contro il clan dei Casalesi.

Ancor più imbarazzante il tema sul versante politico: “la nostra scorta sono i cittadini” proclamava Di Maio, ma eccolo ora contornato di bodyguard che pretende provengano dalla sua Pomigliano, come un Gava o Pomicino d’antan. 



L’unica novità è che Salvini butta per aria la prassi di tutelare almeno i segretari di partito, di governo e opposizione. Ne sa qualcosa il segretario dell’Udc Lorenzo Cesa, che ha confidato di essere stato raggiunto dalla telefonata di un prefetto formato anticasta che gli ha spiegato che “il servizio Uber del Viminale è finito”.

Ancora peggio è andata al segretario dell’altro cespuglio Dc Gianfranco Rotondi, sbattuto in prima pagina sul Fatto direttamente da funzionari che hanno spifferato al quotidiano di Travaglio il più e il meno sulla sicurezza dell’ex ministro. Il risultato è stato una denuncia e un fascicolo per fuga di notizie aperto in procura.

Manco a parlare poi dei magistrati: hanno fatto muro a difesa di Saviano e persino di Ingroia, uno che ragionevolmente di rischi non ne corre più molti.

Dalle scorte alla guerra delle stanze il ministro non se la passa meglio: è esondata su social e giornali la rissa tra i due sottosegretari pentastellati che si contendevano la stessa stanza attigua al ministro. “Io quei due li voglio vedere il meno possibile” sarebbe stata la reazione del ministro capitano.

Da un predecessore e mezzo avversario interno come Roberto Maroni arrivano consigli preziosi al giovane Matteo ma anche qualche puntura di spillo: presentando il suo corso universitario di politica nuovo di zecca, Bobo ha confidato a un giornalista che la garanzia per la Lega di buona riuscita del ministro si chiama Matteo ma Piantedosi.

Da Maroni a un altro predecessore come Claudio Scajola la musica non cambia: “io passavo 14 ore al giorno al ministero, mica in diretta Facebook” ha detto l’ex ministro forzista durante il pranzo di corrente che ha offerto ad Albenga per definire il suo attacco militare di formato imperiese al governo gialloverde.

Lo staff salviniano minimizza le critiche dei vecchi rosiconi: l’importante è che sull’impero salviniano splenda la stella dei primati social che ormai lo incoronano re assoluto della rete. Checché ne pensino i signori Prefetti, il giocattolo funziona.