A un certo punto dell’intervista, mentre si parla di immigrazione, Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la sussidiarietà e anima del Meeting di Cl a Rimini, racconta: “Ho incontrato l’imam responsabile del centro culturale islamico di viale Padova a Milano. E’ di una tale apertura, di una tale disponibilità… Sono fiero di essere amico suo e della sua famiglia”.
Ecco perché, insomma, pur tra tanti leghisti, a partire dal più rassicurante sottosegretario Giancarlo Giorgetti, il ministro dell’Interno non compare nella lista degli invitati alla kermesse di Comunione e liberazione. Se Salvini ostenta bibbia e rosario (“E questo non mi piace, io sono un laico, non si mischiano sacro e profano”), il professore ciellino vira invece su quell’Italia “dal cuore urgente” raccontata da Jannacci.
Vittadini, quest’anno il titolo del Meeting è: “Le forze che muovono la storia sono le stesse che rendono l’uomo felice”. Ne siete proprio certi? Non si direbbe.
E’ una frase di Giussani che parla della storia dell’uomo e del suo impegno per trasformare la realtà, impegno che gli esseri umani non hanno mai smesso di esprimere attraverso l’intelligenza e il sacrificio. Gli uomini hanno dentro un desiderio indomabile di rendere migliore la propria posizione. Senza questo desiderio l’uomo si fermerebbe.
Lei ha parlato di italiani “soli, isolati e spaventati”. Per questo ha vinto l’antipolitica?
E’ l’idea dell’uomo solo al comando, tipica della Seconda Repubblica, che ci ha portato fin qui. Questo è l’esito. Più che l’antipolitica ha vinto una certa politica, che non parla più ai corpi intermedi ma all’individuo isolato.
E che forse, in alcuni suoi tratti, preferisce l’azione dello Stato a quella dei privati. Anche per questo apparite distanti dal governo?
Per alcune cose più Stato va bene, basta non degeneri in statalismo. Si tratta di capire come declinarlo. Va bene, ad esempio, il federalismo fiscale. In Lombardia la sanità pubblica è ancora un fiore all’occhiello. Ma ci sono casi in cui lo Stato deve arretrare a procedere insieme ai privati. Bisogna investire sull’istruzione e sul lavoro. Dopo Genova, ad esempio, molti hanno capito che le infrastrutture sono necessarie.
Professore, dica la verità, voi alle elezioni politiche del 4 marzo avete perso su tutta la linea.
Non penso. Non eravamo schierati e i nostri hanno votato partiti diversi. Mai una campagna elettorale è stata così viva.
Certo con il Movimento 5 Stelle non andate d’accordo: non sono stati invitati né loro né il premier. E’ una rivalsa dopo che l’attuale sottosegretario M5s Marco Fantinati proprio da voi aveva definito Cl come “la più potente lobby italiana con interessi finalizzati al denaro e al potere”?
Questa è la loro linea, ribadita anche in un libro. Non possiamo obbligarli a parlare con noi. Di fatto sono loro a ritenere che non sia opportuno venire al Meeting.
E da Salvini invece vi divide il tema dell’immigrazione.
Io sento molto la posizione di Moavero, che a Rimini ci sarà. Il 93 per cento degli immigrati sono economici, mentre Dublino parla solo dei rifugiati. Un migrante va aiutato perché è innanzitutto un essere umano. L’approccio muscolare di chiudere i porti è lontano dalla mia sensibilità. Tra trent’anni avremo un’Italia multietnica.
A proposito di Lega, secondo il ministro della Famiglia Fontana le famiglie gay non esistono.
La famiglia tradizionale deve vivere dimostrando quanto è bello amarsi tra un uomo e una donna e fare i figli. La famiglia oggi non è aiutata. Perché non parliamo di quoziente familiare? Di questo dovrebbe occuparsi Fontana.
E la frase sulle unioni gay?
Diciamo che le unioni civili sono un compromesso accettabile per chi desideri un altro tipo di famiglia.
Perché, anniversario a parte, a Rimini parlerete così spesso di ’68?
Il ’68 fu fondamentale per il Movimento. Giussani intuì allora che il fattore più importante della fede è un’esperienza vissuta nel quotidiano. Parlare del ’68 è anche parlare del 2018, del desiderio di liberazione e del nichilismo che si è impossessato della nostra società.
Il messaggio che lei spera emerga dal Meeting?
Il messaggio è questo: ci vuole anelito alla felicità e apertura. Verso l’immigrato, verso il progresso, la tecnologia, l’Europa. Ci vuole un cuore urgente come quello di Giovanni il Telegrafista nella canzone di Jannacci.
(Marco Ascione, Corriere della Sera)