Oggi al Meeting di Rimini si terrà l’incontro “Essere italiani”, primo appuntamento di un ciclo curato da Luciano Violante. Introdotti da Giorgio Vittadini, parteciperanno lo stesso Violante, presidente emerito della Camera dei deputati, e Diego Piacentini, Commissario straordinario per l’attuazione dell’Agenda digitale. Anticipiamo alcuni stralci del contributo di Violante.



(…) Passo ora ai motivi per i quali oggi appare necessario affrontare la vera natura della identità italiana.

In gran parte dei 73 anni che ci separano dalla fine della seconda guerra mondiale ha prevalso nel mondo una concezione liberaldemocratica fondata sullo sviluppo delle relazioni internazionali (Unione Europea, Mercosur nell’America Meridionale, Asean in Asia), sul multiculturalismo, sull’accoglienza, sul rispetto dei diritti fondamentali.



Ma, a partire dai primi anni di questo secolo la concezione liberaldemocratica dell’ordine mondiale è contrastata in gran parte del mondo avanzato, con un innegabile successo, da una nuova concezione fondata sui principi di un nuovo nazionalismo che si fa chiamare sovranismo. 

Così è in India, Pakistan, Turchia, Slovenia, Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca, Austria, Olanda, Stati Uniti, Argentina e anche in Italia. La Brexit, in Gran Bretagna, è figlia di questa concezione. 

Le cronache ci dicono che in molti di questi paesi, compresa l’Italia, sono aumentate le aggressioni nei confronti di coloro che sono considerati altro da sé, neri, zingari, omosessuali. Si tratta di una conseguenza diretta dell’intendere l’identità in modo nazionalista ed escludente. Insultare, picchiare, ferire, uccidere una persona perché nera o perché zingara o perché omosessuale funziona come fatto costitutivo o rafforzativo di una identità che tende alla esclusione, alla determinazione di confini tra sé e l’altro. (…)



Questa identità non ci appartiene. Questo abito non é il nostro abito. Questa identità, nazionalista e violenta, salvo la parentesi del fascismo, non fa parte della nostra storia e della nostra cultura. Ma se non le viene contrapposta con determinazione e continuità una diversa identità, un altro modo di essere italiani, è inevitabile che essa si faccia strada. Dagli atti saltuari, individuali e non coordinati, si può passare alla discriminazione programmata e poi ad una forma di pensiero collettivo. Il modello Orban è dietro l’angolo. 

Nel 1923 un grande giornalista italiano, Giulio Debenedetti, intervistò Adolf Hitler per La Gazzetta del Popolo, quotidiano di Torino. Hitler gli espose il suo programma: “…Distruzione di ogni idea internazionale. Attirare nel nostro movimento le masse operaie. …Vogliamo che il potere dello Stato sia affidato ad una minoranza onesta e capace. Si immagina lei che io, dittatore, mi lascerò, quando avrò la direzione dello Stato, comandare dal Parlamento e dai così detti rappresentanti del popolo?”. Ma Debenedetti concluse “Non mi pare un dittatore troppo pericoloso”. Aveva sottovalutato. Dieci anni dopo si apriva il lager di Dachau.

Occorre difendere la nostra vera identità, non quella proposta a posteriori sulla base di esigenze contingenti di qualche partito che costruisce nemici per acquisire consenso, ma ricostruita fedelmente sulla base delle nostra storia politica, civile, culturale.

La nostra identità è quella della cultura, dell’accoglienza e del rispetto dell’altro, della bellezza da vivere e da produrre, della sapienza del fare. Sono queste le caratteristiche che consentono a tanti italiani come Diego Piacentini di primeggiare in contesti altamente selettivi e altamente competitivi. 

Qualcuno si chiederà ma perché fuori d’Italia? 

Perché gli italiani ci sono, ma forse non abbiamo ancora finito di fare l’Italia.