Il problema è lo stesso che c’era prima del ponte Morandi: dove trovare i soldi per concretizzare almeno qualcuna delle tantissime promesse elettorali dei due partiti di governo. Solo che adesso il problema è più grande di prima, perché alla lunga lista delle priorità si è aggiunto il piano straordinario di revisione delle infrastrutture per evitare nuove tragedie come quella genovese. 



La legge di bilancio è ormai alle porte, e la solidità della coalizione giallo-verde — su cui è lecito avanzare qualche dubbio — si verificherà proprio su questo terreno. Sono i vincoli europei a destare preoccupazione, vincoli su cui tenterà di vigilare il ministro dell’Economia Tria, sperando che l’ombrello di Draghi e Mattarella sia sufficiente a ripararlo dall’ira (probabilmente) funesta di Salvini e Di Maio quando gli toccherà dire qualche no per assenza di disponibilità finanziarie. 



L’Europa sinora è stata a guardare le prime settimane di vita dell’esecutivo guidato da Giuseppe Conte senza interferire più di tanto, ben conscia di essere nel mirino della polemica della nuova maggioranza. Anzi, di esserne il vero capro espiatorio. Non per questo, però, appare disponibile a fare sconti. “L’Italia la flessibilità l’ha già avuta, e in abbondanza”, si è sentito mormorare fra i corridoi semivuoti di Bruxelles proprio nelle ore del disastroso crollo genovese. 

Per tutta risposta sull’asse Tria-Giorgetti si stanno raddoppiando in queste ore gli sforzi per recuperare tutti i margini consentiti dalle regole europee, come — ad esempio — la richiesta di non conteggiare ai fini del deficit i fondi destinati agli investimenti per la manutenzione delle infrastrutture, specie quelli già approntati dagli enti locali che in cassa hanno i fondi necessari, almeno in teoria. 



A tenere rumorosamente sotto pressione l’Europa ci pensa Salvini, che ha rilanciato ancora una volta sul tema dell’immigrazione. Il braccio di ferro con Malta sui migranti salvati dalla nave Diciotti della Guardia costiera italiana è la nuova puntata di uno scontro che pare non conoscere fine. In assenza di una revisione strutturale delle regole sull’accoglienza ogni salvataggio diventa ragione di scontro, perché le redistribuzioni dei richiedenti asilo non sono automatiche, ma vanno contrattate caso per caso, e solo con i paesi di buona volontà. Sul piano internazionale il gioco di Salvini è estremamente rischioso, ma sul piano del consenso interno il dividendo politico sembra davvero assicurato. 

Europa sotto pressione in permanenza, quindi, con l’evidente intento di strappare concessioni su tutti i fronti, tanto sulla gestione dell’immigrazione, quanto sulle regole di bilancio all’insegna dell’austerità. Gli obiettivi grossi (anche in termine di soldi necessari) sono infatti elevatissimi, e per di più fra di loro profondamente divergenti. Tutti lo sanno: Di Maio punta sul reddito di cittadinanza, Salvini sulla flat tax, o quantomeno su una tangibile riduzione della pressione fiscale, che gli viene sollecitata a gran voce dai ceti produttivi del nord che lo hanno votato in massa. Progetti tanto costosi quanto difficili da tenere insieme. E vi si aggiungano differenze ideologiche che non potranno essere nascoste all’infinito: si pensi al favore leghista alle infrastrutture strategiche, contrapposto alle riserve 5 Stelle: no Tav, no Tap, no Gronda, no Pedemontana, e chi più ne ha più ne metta. 

Il tema della compattezza del governo è di scottante attualità, e solo l’autunno dirà una parola definitiva sulla possibilità di tenere insieme quello che sembra difficile da conciliare. A parole i protagonisti della coalizione di governo giurano quasi quotidianamente sulla tenuta dell’esecutivo. Dicono che durerà. La prova del nove sarà la legge di bilancio, e il finale della storia non è affatto scontato. Il punto di rottura potrebbe essere più vicino di quanto non si possa immaginare.