Giovanni Legnini, vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, parlerà oggi al Meeting di Rimini su “Le ingiustizie e la giustizia”. Legnini è a fine mandato: la consiliatura termina il 24 settembre. “Per una felice coincidenza” — ricorda — “la scadenza coinciderà con il giorno del 60esimo dell’entrata in vigore della legge istitutiva del Csm. In quella data terremo un plenum, presieduto dal Capo dello Stato, nel quale daremo conto delle cose fatte”. Nel frattempo Legnini avverte il governo: “prima di rimettere mano a discipline appena introdotte bisognerebbe valutarne l’efficacia”. 



Lei ha parlato di deriva correntizia.

Un rischio immanente nel funzionamento del Consiglio perché il Csm è un organo elettivo, democratico e collegiale. La volontà si forma attraverso il voto. Le correnti svolgono un ruolo importante nell’elaborazione culturale e di politica giudiziaria, meno in alcune decisioni consiliari perché a volte manifestano una tendenza autoreferenziale e corporativa. 



Dov’è esattamente il punto in cui la libertà associativa degenera in qualcosa d’altro?

Accade quando lo spirito di appartenenza prevale su valutazioni oggettive e di interesse più generale. E’ un rischio che è appunto connaturato al carattere democratico dell’organo, scelta giusta voluta dai padri costituenti, che io difendo perché l’organo di governo della magistratura italiana costituisce un modello per molti altri Paesi democratici. 

Il modo per attenuarlo o superarlo? Una riforma della legge elettorale?

Ne sono state cambiate diverse nel corso dei decenni. E’ un tema che non mi appassiona, sarebbe come dire che la qualità del Parlamento dipende solo dal sistema elettorale. Il punto fondamentale per il buon funzionamento del Csm è la trasparenza, la pubblicità degli atti, il rispetto rigoroso dell’obbligo di motivazione nelle scelte. 



Ora è tutto pubblico?

E pubblico tutto ciò che la normativa primaria e secondaria non qualifica come segreto. Sulla pubblicità molto si è fatto ed altro rimane da fare. Se i componenti, laici compresi, sanno che le motivazioni del loro voto saranno conoscibili da tutti, come per larga parte è già oggi, penso che ciò possa rappresentare  un argine alle pratiche correntizie non corrette. 

Come valuta le elezioni del nuovo Consiglio? Davigo è stato il primo degli eletti, ma la novità è stato il boom di Magistratura indipendente.

Mi sono autoimposto di non commentare la competizione elettorale. Si può dire che c’è un sostanziale equilibrio tra le tre principali componenti, con una marcata redistribuzione di eletti dalla componente di sinistra verso quella più moderata. Ciò che conta comunque è la qualità degli eletti, che è elevata. 

In passato il centrodestra rimproverava ai magistrati di sinistra di essere “giustizialisti”, oggi al governo c’è una forza “giustizialista”. Che cos’è il giustizialismo? 

Anche questo è un tema antico che può essere declinato in modi diversi. La mia opinione è che si tratta di una visione, e non mi riferisco alle idee di quella che lei chiama forza giustizialista al governo, antitetica o distante dalla cultura delle garanzie e del rispetto dei diritti di tutte le parti nel processo. Una visione pan-penalistica che fa sua un’idea di giustizia sommaria anticipata e per questo non può essere condivisa. 

Il programma del ministro Bonafede?

Faccio una premessa. Si tratta di intendimenti che non sono accompagnati da articolati analitici e di dettaglio ed è quindi giusto che il giudizio lo si dia sui testi che saranno proposti. Il nuovo Consiglio non mancherà di farlo. Detto questo, osservo che l’elenco dei temi e delle intenzioni scritte nel contratto di governo non è molto diverso da quello di altri governi che si sono alternati negli ultimi 20 anni. Tranne che su alcuni punti.

Un esempio per tutti: rendere più efficiente la macchina dei processi.

Un obiettivo di tutti i governi, appunto, che non si può non condividere.

Altri propositi sui quali invece non è d’accordo?

La volontà di intervenire sulla legittima difesa, o quella di abrogare la depenalizzazione di alcuni reati. Prima di rimettere mano a discipline introdotte da poco bisognerebbe valutarne l’efficacia. Si tratta di di un metodo che tiene in conto la necessità di salvaguardare la stabilità della legislazione, che è un valore positivo per l’efficienza del sistema giudiziario. Lo stesso ministro Bonafede lo ha sottolineato, ferma comunque l’ovvia legittimità delle diverse opzioni politiche su alcuni temi sensibili. 

Quali punti andrebbero posti sotto osservazione secondo lei?

In materia di corruzione, il cui contrasto costituisce una priorità assoluta, negli ultimi anni sono state inasprite le pene, introdotta la disciplina di tutela del dipendente pubblico che la denuncia, aumentata la durata della  prescrizione, introdotte misure di prevenzione estese come quelle che fanno capo all’Anac. Si tratterebbe prima di valutarne l’efficacia e poi, nel caso, di intervenire con altre riforme. 

C’è una riforma dell’ordinamento penitenziario comprensiva della disciplina delle pene alternative approvata dal precedente governo. Bonafede intende abbandonarla.

Su questo la mia posizione è netta e coincide con quella espressa dall’intero Consiglio uscente: eravamo e siamo favorevoli a quel progetto di riforma dell’ordinamento penitenziario e quindi siamo contrari a che lo si abbandoni. Occorre favorire il ricorso più esteso possibile a misure alternative alla detenzione, al lavoro dentro e fuori dal carcere, ad ogni altra misura di rieducazione e reinserimento sociale. E non c’entra la certezza della pena, esigenza che condivido. E’ in gioco invece l’efficacia rieducativa della sua esecuzione e i principi di umanizzazione nel solco delle disposizioni costituzionali. 

La legittima difesa?

Uno degli aspetti più singolari, ignorato nel dibattito pubblico sul tema, è che la disciplina attuale fu introdotta nel 2005-2006 dal Governo Berlusconi. Il ministro della Giustizia era Roberto Castelli della Lega. I motivi di quella riforma erano gli stessi di cui oggi si discute. Eppure all’epoca le modifiche introdotte al codice penale, che pure furono criticate dalle opposizioni, consentirono di garantire un equilibrio accettabile tra i valori in gioco. La legittima difesa è oggi ampiamente esercitabile con i vincoli della proporzionalità della reazione e dell’attualità della minaccia. Perché cambiarla?

Dove sta il rischio?

Nel voler annullare o fortemente comprimere la valutazione sulla proporzionalità che spetta al giudice caso per caso. Ho molti dubbi che la sua soppressione sia conforme ai principi costituzionali ma, ripeto, senza un testo definito è difficile esprimere un giudizio compiuto. 

Il Meeting di Rimini ha sempre riservato grande attenzione al tema della giustizia. Può anticiparci qualcosa della sua relazione?

Sono interessato a promuovere una riflessione sul cambiamento della domanda di giustizia conseguente al manifestarsi di nuove ingiustizie e diseguaglianze. In questi anni, infatti, sono cresciuti alcuni fenomeni, penso all’immigrazione, alle disuguaglianze sociali, al rischio immanente di violazione di diritti fondamentali quali la riservatezza personale, che generano nuove domande che si rivolgono alla giurisdizione. Il nostro sistema giudiziario è adeguato a farvi fronte? 

Lei cosa risponde?

Che sta mutando la funzione del giudice nell’ordinamento e nel rapporto con la società. E che è in gioco il primato della legge. In passato le norme riuscivano a contenere i fatti, a prevederli, adesso questa funzione è in crisi e troppo spesso i fatti della vita anticipano e superano la capacità previsiva della leggi. Un tema che mette in discussione anche il principio della divisione tra i poteri e che carica di nuove responsabilità la giurisdizione. 

Un esempio?

Gli effetti della rivoluzione digitale. Il legislatore è costretto a rincorrere l’evoluzione della tecnica senza grandi successi. Con la conseguenza che i conflitti si scaricano sulla giurisdizione. 

La soluzione è tecnica o politica?

Occorrono un recupero di autorevolezza della politica e un’adeguata istruttoria tecnica delle norme che vengono emanate. Se non si agisce su ambedue le sfere, i risultati sono inesorabilmente negativi. 

Un bilancio della sua gestione?

Dal mio punto di vista positivo. Abbiamo prodotto una pressoché integrale riforma delle norme di funzionamento del Consiglio e di quelle che orientano l’esercizio delle funzioni costituzionali del Csm. Poi interventi estesi e senza precedenti in materia di organizzazione degli uffici giudiziari; le molteplici circolari e linee guida saranno racchiuse in un testo unico che presenteremo il mese prossimo. Molteplici e nuove sono state le iniziative di apertura verso altre istituzioni e tutte le giurisdizioni anche europee. Al plenum del 24 settembre daremo conto dei risultati conseguiti, i cui effetti sarà il tempo a valutare. 

(Federico Ferraù)