Se per Davide Casaleggio il Parlamento non servirà più — ma oggi è evidentemente utilissimo a sostenere il governo Conte — per il sottosegretario alla Presidenza dello stesso governo, Giancarlo Giorgetti, il Parlamento è già oggi “luogo dell’inconcludenza”: ma non è affatto una buona notizia e neppure una buona ragione per accelerarne la rottamazione. Populismo? “Un tempo il nostro governo si sarebbe chiamato reazionario”, è giunto a provocare ieri Giorgetti al Meeting di Rimini. “L’esito elettorale ha rappresentato una reazione del popolo all’espropriazione della vita democratica. Il pensiero unico politicamente corretto ha sostituito il vero confronto politico, le varie promesse di felicità fatte dalla globalizzazione non si sono realizzate e hanno invece tolto alla società molte delle sue libertà, a cominciare da quella di far politica, di decidere responsabilmente del proprio destino”.



“Non è vero che siamo alla fine della storia e che l’ideologia globalista ha debellato la politica”: per questo Giorgetti ha voluto partecipare all’incontro di rilancio dell’Intergruppo parlamentare per la Sussidiarietà (c’erano anche Mariastella Gelmini, Graziano Del Rio, Gabriele Toccafondi, Massimiliano Romeo, oltre a Maurizio Lupi che presiederà il nuovo Intergruppo). Sul tavolo c’è un “manifesto”, ma soprattutto dati d’esperienza urgenti: basta scegliere fra le cifre della disoccupazione giovanile, quelle di un tragico disastro infrastrutturale, quelle delle migrazioni epocali, quelle dell’export conquistato e perduto sui mercati emergenti.  



La globalizzazione ha aggiunto gradi di complessità geopolitica, ha alzato il livello delle sfide economiche e tecnologiche, ma non è la prima volta: e non più tardi di due generazioni fa l’Italia ha vinto ripartendo con i propri talenti dalle macerie di una guerra persa e inserendosi fra i paesi più avanzati. Ci è riuscita principalmente grazie al suo capitale umano e a competenze collettive fra le quali è sempre spiccato un senso democratico reale e diffuso: una sperimentata fiducia nelle aggregazioni, nei corpi intermedi, nel confronto che genera anzitutto “scelte di fondo”. Senza un solido piedistallo di istanze condivise non ci può essere sviluppo economico e sociale: e una democrazia spaccata e bloccata — “inconcludente” — è alla fine più pericolosa di qualsiasi dittatura ideologica.



“Per chi e per cosa si fa politica?” si è chiesto Toccafondi. “Serve una comunità attorno, che indichi un percorso educativo: come ho sempre visto l’Intergruppo. “Come ha detto Papa Francesco, si impara a vivere considerando la realtà come sfida e non come ostacolo. Serve una rete di rapporti, cioè una comunità: nessuno ha la verità in tasca”.

“Ho aderito all’Intergruppo perché vuole pensare una nuova fase di sviluppo del Paese”, ha detto Romeo, esordiente al Meeting. “In Lombardia abbiamo imparato che bisogna fare differenza: fra sindaci, fra amministratori regionali, fra imprese. Tutti hanno gli stesso diritti, ma anche gli stessi doveri. Su questo tutti nel Paese si devono confrontare. Ci sono Regioni in cui lo Stato è troppo presente o troppo assente. Non serve cambiare la Costituzione, se c’è una Regione che riesce a gestire i servizi meglio dello Stato, deve poterlo fare. Parlare di autonomia significa far chiarezza sulle competenze delle amministrazioni locali”.

“Verità e coesione”: è il sinonimo di Italia per Del Rio. “Serve mantenere una tensione unitaria e l’interesse nazionale si tutela anche sviluppando l’Alta velocità ferroviaria. L’Italia resta un paese fragile ma la politica deve andare fino in fondo, ai suoi limiti”. L’amministrazione centrale — per l’ex ministro delle Infrastrutture — non esaurisce la politica: “Le esperienze più belle vengono quando la società si rafforza con l’autonomia e la sussidiarietà, con la capacità di rischiare”: questa la parafrasi del “Manifesto dell’Intergruppo” che Del Rio ha riproposto al Meeting.

“Io e noi”. Mariastella Gelmini “iscrive” idealmente il presidente Mattarella — citato dal messaggio al Meeting 2018 — all’Intergruppo. “In una stagione in cui sembra non sembra essere possibile una vita politica se non in termini di contrapposizione e di ricerca di un nemico, il tema cruciale oggi non è la legge elettorale oppure l’elezione diretta del premier: affrontare i limiti ed errori della democrazia rappresentativa è vuol dire guardare negli occhi tutte le preoccupazioni e le ansie dei cittadini italiani. Il cosiddetto populismo non può essere liquidato come razzismo. Il concetto di patria ha bisogno di una corretta interpretazione”.

“Cosa ci accomuna?”. Lupi — che torna ad animare l’Intergruppo da coordinatore — non ha timore di riproporre la domanda originaria di una singolare esperienza di sussidiarietà istituzionale, sottoscritta da oltre 200 parlamentari. “Non era scontato che riannodassimo le fila di un’esperienza: è sempre impegnativo non tenere la testa rivolto al passato. Il Manifesto dell’Intergruppo non è un contratto alternativo di governo. Abbiamo tentato di capire come è possibile costruire un mondo di uomini liberi, felici, protagonisti, capaci di affrontare il futuro”.

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