I fatti di Genova (non ultimi gli applausi e i fischi ai funerali di Stato) hanno visto reagire politicamente Lega e M5s: non le opposizioni — a cominciare da ciò che resta del Pd —, a conferma della loro virtuale inesistenza corrente. A tentare qualche supplenza “resistenziale” all’interno di una sinistra parlamentare liquefatta si muovono alcuni giornalisti di lungo corso: da cui filtrano schemi politici articolati, completamente diversi dalla strategia puramente mediatica dell’ex leader Matteo Renzi. Schemi che hanno comunque un denominatore comune: promuovere una crisi di governo al più presto, meglio se sullo show-down autunnale sui conti pubblici (a Roma e a Bruxelles); comunque prima del cruciale appuntamento elettorale europeo di primavera. E la via sembra obbligata: rompere al più presto l’alleanza giallo-verde, farla emergere come “fake” politico; re-imporre la distinzione fra “destra” e “sinistra” anche nel terreno populista, ripartire dall’ipotesi di governo “di sinistra” fra M5s e (ex)Pd invano tentata da Bersani nel 2013 e drammaticamente sabotata da Renzi dopo il voto del 4 marzo.



Significativo l’editoriale di Paolo Mieli sul Corriere della Sera. Una singolare dissertazione storica sul “complottismo preventivo” con un solo obiettivo: i ripetuti allarmi della Lega — del sottosegretario alla Presidenza Giorgetti — sull’arrivo di un’offensiva d’autunno dei mercati finanziari contro lo spread italiano. Sono molti i “non detti” di un articolo al solito abile, che si preoccupa di rimettere in chiaro che neppure nel 2011 l’Italia fu vittima di un “complotto”. Sette anni dopo l’ex direttore del Corriere si mostra convinto che fu tutto vero, logico, meritato: che le bocciature di Standard & Poor’s e le inalberature di Lady Spread erano legate alla presenza di un Governo che pretendeva di non rispettare parametri Ue e regole dei mercati. 



Il primo “non detto” è: la Lega strilla in anticipo perché si rende conto che sta seguendo le orme di Berlusconi e Tremonti, ma in effetti ne è l’erede politica (anche nelle simpatie per Putin, ecc.). Il secondo “non detto” — ardito nella constatazione, di estremo realismo nel tentativo di moral suasion — riguarda Di Maio e i pentastellati: se rimanete alleati della Lega il disastro è certo. I mercati non sopportano Salvini, su M5s il giudizio è ancora sospeso. Non commettete l’errore di seguirli nel loro sovranismo affannato: e meditate sul passo grave commesso assumendovi la responsabilità immediata della revoca della concessione ad Autostrade o addirittura del progetto di rinazionalizzazione-esproprio. Avete in custodia un tesoro di voti “di sinistra”: non buttateli via per inesperienza. Provate a fidarvi di chi — a sinistra — ha esperienza di come si trattano le “destre”, di come si gestiscono i rapporti con la finanza.



In un format diverso — un’intervista al Fatto Quotidiano — anche Gad Lerner sembra muoversi nella stessa direzione. Con l’uso raffinato di una categoria culturale profonda della sinistra storica — l’autocritica” — l’ex direttore del Tg1 pronuncia un’abiura secca dell’intera Seconda Repubblica: dal suo punto di vista, naturalmente, quella che in estrema sintesi è impersonata dal Romano Prodi privatizzatore (non da ultimo delle Autostrade ai Benetton). Dichiarando la propria obsolescenza professionale e politica, Lerner ha tuttavia l’occasione di puntarla contro l’intera classe dirigente del Pd (ma anche di Leu): di cancellare dall’orizzonte una possibile riedizione del renzismo e nuovi inciuci “borghesi” con forze centriste come l’ex FI. Anche per Lerner la riscossa può cominciare evidentemente solo ricostruendo “la sinistra”: con “uomini nuovi” che sappiano elaborare nuove sintesi fra l’antagonismo grillino e la decrepitezza del prodismo corrotto dal renzismo. 

Non mancano, nell’intervista di Lerner ai “compagni” del Fatto, accenni insistiti ai rapporti fra la politica e i “ricchi e potenti” del Paese. Con un nome “in chiaro”: Carlo De Benedetti, editore oggi emerito di Repubblica nonché fra i primi beneficiati dalle felici privatizzazioni degli anni 90 (Omnitel). Al suo (ex) editore l’ex Lerner sembra sollecitare un passo indietro definitivo dopo le plateali scaramucce degli ultimi mesi con Eugenio Scalfari. Sembra suggerire all’ex “tessera numero 1 del Pd” di agevolare una palingenesi della sinistra italiana partendo da un rilancio altrettanto radicale del quotidiano che ha partorito la sinistra post-marxista nel Paese. E ragionando per cognome su un “padrone” molto speciale, Lerner pare d’altronde invitare alla riflessione gli M5s: con i “padroni” una forza di governo deve sapersi misurare come con tutti gli altri cittadini-elettori (e come la Lega sa già fare da tempo). E non tutti i “padroni” sono uguali. De Benedetti resta diverso da Berlusconi: che alla fine sarà sempre amico di Salvini e nemico di Di Maio.