Il vicepremier Matteo Salvini — il “lupo” ammansito da (papa) Francesco — non ci ha messo un attimo a lamentare di essere finito sul registro degli indagati della Procura di Agrigento meno di una settimana dopo l’attracco in Italia della nave Diciotti. Dodici giorni dopo il crollo del ponte Morandi, invece, la Procura di Genova non ha ancora iscritto alcun presunto responsabile nel suo fascicolo: tanto meno membri della famiglia Benetton, le figure apicali di Atlantia come Salvini è — e rivendica di essere — per la gestione del Viminale.
Presunto sequestro di persona (comunque rientrato) di 118 migranti versus 43 morti italiani (irreparabili) per crollo di un ponte autostradale in una metropoli: perché questo “doppio peso” nelle mosse giudiziarie, si chiede Salvini? La questione non è affatto epidermica, “demagogica”. Prova ne sono le reazioni incerte e riluttanti, tanto infastidite quanto inquiete dei grandi media: in fondo disturbati sia dall’autorevolezza spiazzante della Chiesa universale sul caso migranti, sia dallo zelo poco credibile mostrato nella circostanza dalla magistratura: che ha messo sotto accusa un vicepremier ministro della Repubblica democraticamente in carica per le modalità di esercizio delle sue funzioni di tutela della sicurezza nazionale e di gestione delle relazioni estere del Paese.
Se un domani a un Pm non andasse a genio il capitolo di legge di stabilità sarà autorizzato a qualsiasi invenzione pur di mettere sotto immediata indagine penale il ministro dell’Economia? Donald Trump è nel mirino di una serie di authority del Paese di cui è presidente democraticamente eletto: ma le ipotesi di reato sono la violazione della sicurezza nazionale per le presunte inferenze russe nella politica Usa piuttosto che reati comuni come presunti pagamenti impropri a potenziali testi scomodi per vicende scomode sul piano personale e politico. Qualcuno in America penserebbe mai a un impeachment per Trump per gli ultimi bombardamenti in Siria o Afghanistan? Per l’invio delle portaerei al largo della Corea del Nord? Per il ban sui voli a rischio-Isis? Qualcuno è convinto che negli Stati Uniti un giudice proverebbe mai a obbligare sotto minaccia penale le autorità federali o di qualche Stato a far sbarcare “per ragioni umanitarie” un migrante come quelli della Diciotti? Provare per credere: chiedere un’intervista al former president Barack Obama. Ma anche al presidente francese in carica, Emmanuel Macron, o al cancelliere tedesco in carica, Angela Markel, pare desiderosa di trasferirsi a Bruxelles come “premier d’Europa”. In Germania, semmai, la Corte costituzionale interviene a supporto dei sovranisti tedeschi — sempre più numerosi, anche nel governo federale — contro quello speciale “immigrato” a Francoforte di nome Mario Draghi: quando attraverso il quantitative easing della Bce vorrebbe un po’ più di “giustizia socioeconomica” nell’Unione Europea.
La Procura di Agrigento ha aperto indagini giudiziarie in tempo ultrareale: ma quale Procura italiana è realmente al lavoro la settimana dopo Ferragosto? Neppure quella di Genova, squassata da un disastro causato all’uomo, lo è stata. Paradossalmente, è probabile che la reazione indotta dal sistema giudiziario un migliaio di chilometri più a sud sia stata provocata dalle ore concitate a valle del crollo del Ponte Morandi: quando il premier ha riunito il Consiglio dei ministri la sera di Ferragosto a Genova. La decisione di principio di avviare immediatamente la revoca della concessione ad Atlantia è stata subito bollata come una pericolosissima “violazione dello Stato di diritto”. La magistratura ritiene di detenere un monopolio esclusivo di qualsiasi “giudizio”, di ogni accertamento dell'”unicuique suum”. E poco importa — evidentemente — se un governo democraticamente in carica giudica che un disastro come quello di Genova abbia superato tutte le linee rosse politico-amministrative, da quella della sicurezza dei trasporti a quella oltre la quale la privatizzazione di una rete infrastrutturale sembra assumere a posteriori i contorni di uno scandalo politico-finanziario. I tempi e modi della cosiddetta “giustizia” li possono decidere solo i magistrati: anche se stanno affrontando una drammatica resa dei conti interna alla loro corporazione, dopo il rinnovo del Csm; e se proprio l’ascesa al governo di M5s li costringe sulla loro pelle a riflettere sul loro ruolo nella democrazia italiana nell’ultimo quarto di secolo.
Si è mostrata super-efficiente contro il ministro dell’Interno sulla questione migranti la Procura del capoluogo di una provincia considerata da decenni fra le meno presidiate dallo Stato di diritto per la criminalità mafiosa. Il procuratore ha interrotto le vacanze per mettersi in fila con esponenti della para-opposizione parlamentare (da Laura Boldrini a Maria Elena Boschi in veste di ambasciatrici hollywoodiane) sulla passerella di una nave statale — della Guardia costiera — trasformata in red carpet mediatico.
Su questo non ci dilunghiamo, avendo già posto alcune domande “al” e “sul” ministro pentastellato della Difesa, Elisabetta Trenta. Quali sono le regole d’ingaggio sui barconi date alla Guardia costiera dal responsabile politico delle forze armate nel governo Conte? Come avvengono in concreto i cosiddetti “salvataggi” da parte dei mezzi della Guardia? E poi attorno al nuovo ministro — un militare della riserva — non è mancato un fastidioso chiacchiericcio sul marito: fino a poche settimane fa alto ufficiale del ministero nel settore armamenti. Le operazioni Triton e Sofia sono anche budget militari e le forze armate sono importanti bacini elettorali: parlarne può apparire politicamente scorrettissimo, ma tant’è. E se il procuratore di Agrigento ha preteso risposte a tempo di record dal Viminale, il suo vicino collega di Catania si è trovato stretto da muri di gomma o cemento quando ha posto domande sul “business umanitario” di alcune Ong (ministro dell’Interno era Marco Minniti).
Chi non l’ha fatto, rilegga comunque le interviste rilasciate sabato da Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento, creato cardinale da papa Francesco. Un sacerdote e un cittadino italiano: convinto che i migranti della Diciotti dovessero essere accolti “senza se e senza ma”. Dall’Europa.