A chi fa più male l’indagine della magistratura ai danni di Matteo Salvini? Il fascicolo della procura di Agrigento dovrebbe colpire il ministro dell’Interno, indebolirlo e metterlo in cattiva luce soprattutto agli occhi dei partner europei. Invece che succede? Un classico esempio di eterogenesi dei fini, ovvero si producono – non intenzionalmente – risultati diversi, e spesso opposti, da quelli attesi come esito delle proprie azioni.



Lo si vede dal fatto che Salvini cavalca l’inchiesta come un fantino provetto. La replica del ministro agli inquirenti è fin troppo facile: ancora nessun indagato per la strage di Genova mentre lui è sotto indagine per 177 persone che poche ore dopo il presunto sequestro sono sbarcate, come era inevitabile che fosse. I magistrati siciliani hanno fatto un bel favore al numero uno del Viminale, il quale si era infilato in una strada senza uscita perché era evidente che prima o poi i migranti sarebbero sbarcati. E in questo caso soltanto una piccola minoranza finirà all’estero: il grosso resterà in Italia, a spese della Caritas ma entro i confini nazionali. Non è una grande vittoria per Salvini, tanto più che nelle stesse ore altri 200 e più derelitti mettevano piede sul suolo italiano nel silenzio generale. Ma l’apertura del fascicolo ha trasformato il ministro in una vittima della giustizia a orologeria e coperto la resa del Viminale. Come dimostrano le reazioni dei social network, non ci sarebbe nemmeno da sottolineare che l’elettorato leghista è galvanizzato come non mai.



Il boomerang si è invece abbattuto sui 5 Stelle, che cercano ancora una via maestra per differenziarsi dal protagonismo di Salvini e rifulgere di luce propria. Per un’indagine sull’ultimo ministro dell’Interno i grillini chiesero le sue dimissioni. Ma quello si chiamava Angelino Alfano. Nei militanti si fanno più pressanti le domande sulla doppia morale che ormai vige nel movimento: giustizialismo intransigente se le inchieste colpiscono gli altri, benevola comprensione quando gli indagati si chiamano Raggi o Salvini.

Il caso giudiziario è dunque un caso politico. L’improvvida discesa in campo della magistratura ha acuito le contraddizioni dell’alleanza di governo che covano sotto la martellante campagna mediatica che Di Maio e Salvini conducono quotidianamente monopolizzando i temi del dibattito. Ma accanto alla fenditura nell’alleanza, il fascicolo ha provocato un secondo scossone. Perché Silvio Berlusconi non poteva restare in silenzio davanti a magistrati che entrano a gamba tesa in vicende politiche, e ha espresso solidarietà piena a Salvini. Il vecchio Cavaliere ne ha viste tante e non ha potuto trattenersi davanti alle “assurde interferenze” della procura di Agrigento.



E così ci ritroviamo un Salvini isolato da Di Maio che sulla vicenda della nave Diciotti non si è esposto, schifato dai partner europei a parte l’ungherese Orban, lasciato solo dal silenziosissimo presidente Mattarella. Un Salvini che invece trova una sponda negli ex alleati del centrodestra i quali non hanno sepolto del tutto la prospettiva di riagganciarsi al treno leghista. L’eterogenesi dei fini è completa: paradossalmente l’inchiesta di Agrigento fa più male ai grillini.