Raccontata dai deputati, la scissione del centrodestra è quasi una tragedia familiare: azzurri e verdi vanno a braccetto in centinaia di giunte locali e la scazzottata tra Salvini e Berlusconi scuote questo piccolo mondo di amicizie e rivalità, nomine spartite e salamelle arrostite nello scambio di visite alle sagre estive. In verità la prospettiva è diversa vista dai banchi verdi o azzurri. 



Per la Lega la scissione è un disturbo e un’opportunità, Salvini ha una strategia e ritiene di poter fare a meno degli azzurri senza pagare dazio, anzi. Altro discorso in casa forzista: “Noi siamo eletti nei collegi coi voti della Lega”, spiega con franchezza uno degli eletti del Nord, “nessuno di noi tradirà Berlusconi, ma di tornare in Parlamento senza i leghisti ce lo scordiamo”. Stessa musica nelle Regioni e nei Comuni: la minaccia di far cadere le giunte Forza Italia manco prova a metterla in campo, si sa che i consiglieri regionali sono i più restii a far cadere le legislature con annessi benefit e stipendioni.



“Noi siamo mentalmente autonomi dal concetto di centrodestra”, spiega un deputato leghista con accesso ai piani alti salviniani, “a noi non importa di rifare il centrodestra perché Salvini non ha in mente una coalizione con alleati, cespugli, vertici… noooo, lui pensa a un partito unico all’americana con gazebo, militanza, territorio e lui capitano assoluto e senza colonnelli e pretoriani”. E i moderati, i forzisti, tutti da rottamare? “Niente affatto – spiega -, per quelli potabili ci sarà spazio nel nuovo soggetto, ma non saranno i big, nemmeno quelli dialoganti con Matteo; apriremo le porte a gente del territorio e a qualche nome che richiama mondo ed elettorati a cui noi non arriviamo da soli”.



Per Forza Italia è più complicato rifarsi una strategia: in teoria potrebbe interpretare l’opposizione moderata e trasformare l’accusa di inciucio col Pd in una risorsa; in fondo Prodi arrivò così due volte al governo. Ma il Cavaliere non sembra averne voglia. O semplicemente sa che comunque al governo non ci tornerà lui.

Certo, c’è Tajani, ma i forzisti che contano lo chiamano “il tonno”, con riferimento allo scarso appeal mediatico e con la rappresentazione di Forza Italia come una triste tonnara. Nessuno crede che Tajani possa risollevare il partito e forse non ci crede molto manco lui, che in privato ha detto a un ex ministro leghista: “Per me è una grana questo incarico, Berlusconi non tollera vice e io so che mi farò solo nemici”.

Poi c’è lo psicodramma della candidatura europea di Silvio: tutti lo vogliono in campo, ma lui teme il paragone con Salvini che guiderà le liste in tutte le circoscrizioni puntando al pienone di preferenze. Sondaggisti e sherpa del territorio concordano: è meglio che il vecchio Silvio eviti il paragone. Per il leader azzurro si profila dunque una candidatura nella sola circoscrizione delle isole, dove proprio è improbabile che Salvini possa offuscare la stella berlusconiana.

L’unico danno sarà qualche chilo in più tra pasta secca e cannoli siciliani destinati a lenire le amarezze del leader azzurro.