Con il governo Di Maio-Salvini sembra di essere tornati al clima di “Mani Pulite” e questo spiega la popolarità di ognuno dei due che in tutti i sondaggi è intorno al 30 per cento. Palazzo Chigi è visto come una Procura nazionale che si muove nel segno di Epurazione e Velocità. Da due mesi assistiamo a un tornado di “avvisi di garanzia”: da migranti a Consob, da vitalizi a Ilva e Tav, da Cassa Depositi e Prestiti a Fornero e Jobs Act. Forse si salva — va come in “prescrizione” — la Tap, ma c’è voluto l’intervento congiunto di Quirinale e Casa Bianca. 



Anche i vertici istituzionali — i cosiddetti “contropoteri” — sembrano vacillare tra Corte costituzionale e Consiglio di Stato che ratificano leggi e delibere retroattive e il Quirinale che nomina un Ministro della Democrazia diretta ovvero una sorta di Ammiraglio degli Alpini.

Il potere esecutivo in mano a chi non ama la democrazia rappresentativa si traduce in un modo di governare “a furor di popolo”, violento e comunque sbrigativo, come emerge da Rai e vaccini.



Alla base della forza della maggioranza c’è indubbiamente la debolezza degli antagonisti di destra e di sinistra che in passato furono entrambi oltre il 40 per cento dell’elettorato: “Rivoluzione liberale” e “Partito della Nazione” sono il marchio di grandi speranze deluse. 

Berlusconi vive da anni in uno stato parassitario, sdraiato sul tradizionale elettorato moderato. Finché i tentativi di dar vita a un movimento o una leadership in alternativa si sono risolti prima con Gianfranco Fini e poi con Angelino Alfano in alleanze subalterne alla sinistra, FI manteneva il primato nel centro-destra. Ma nel momento in cui con Salvini è venuta fuori un’alternativa a Berlusconi che non finiva all’ombra del Pd, il berlusconismo ha cominciato a sciogliersi come neve al sole.



A sua volta la sinistra forgiata da ex Pci ed ex sinistra Dc — con il suo Pantheon di Berlinguer insieme a Kennedy e di Dossetti con Che Guevara — stava in piedi come “braccio buono” della globalizzazione. All’ombra delle privatizzazioni e della Casa Bianca hanno però impattato crisi economica, terrorismo e migrazioni venendo percepiti come “establishment”.

Da sinistra leader politici, economisti e intellettuali hanno in questi anni sempre più lanciato il messaggio delle classi medie come “peso” e dei migranti come “risorsa”. I ceti medi che si impoverivano si sentivano trattati come “passato” destinato a scomparire, mentre oggetto di tutela per il legislatore erano i migranti come “futuro”. Il contrasto tra globalizzazione e ceti medi è un fenomeno non secondario, che se trascurato sfocia in un bacino alla mercé dell’avventurismo.

Ma il Pd sembra incaprettarsi senza trovare un momento di riflessione seria, tra un Renzi che liquida il M5s come “una corrente della Lega” e i suoi oppositori che vedono Casaleggio come possibile alleato. Come al solito — a tre anni dalla scadenza — è già iniziata la corsa al nuovo inquilino del Quirinale che sarà eletto da questo Parlamento e tutti quelli che a sinistra puntano alla presidenza della Repubblica come Veltroni sperano in un governo Di Maio-Pd.

A livello della guida del Paese non siamo però di fronte all'”incontro di Teano” tra Questione settentrionale e Questione meridionale, ma a un “contratto” che basato su una sorta di lottizzazione della visibilità mediatica rischia di spingere con atti irreversibili il Paese in un tunnel di declino.

Nel governo sembra prevalere il meridionalismo nella sua versione più arretrata e cioè: a) l’industrializzazione come perdita di identità; b) il superamento dello squilibrio Nord-Sud “fermando” il Nord. A ciò si aggiungono: c) l’eccezione d’infamia sul “fare” con qualsiasi investimento pubblico o privato additato come malaffare; d) un sovranismo conflittuale e isolazionista che ricerca la protezione dalla Casa Bianca e dal Cremlino promettendo in cambio il boicottaggio di tutti i processi di integrazione europea e in generale dell’Ue come soggetto geopolitico. Che il ministro degli Interni vada allo stadio di Mosca per tifare contro la Francia (anche se con visita al ministro russo per giustificare le spese di viaggio) significa che si governa in un clima di esaltazione senza il senso delle proporzioni. 

A favore del governo giocano comunque due fattori non secondari. In primo luogo se la maggioranza dell’elettorato si è riversata su partiti “antisistema” è perché da anni la cosiddetta “antipolitica” è diventata man mano il pensiero unico dominante. Gli editoriali del Corriere con tanto di “grido di allarme” del direttore ormai non spostano un voto dopo che da via Solferino per anni — e soprattutto durante l’ultima campagna elettorale — si è auspicato l’azzeramento della classe politica e l’avvento di nuovi soggetti e con il suo editore che ha imperniato anche la tv La7 a favore di Lega e M5s.

In secondo luogo sulle prossime elezioni europee si allungano le ombre dell’irresponsabilità con cui nel 2014 — dopo che il voto aveva già segnalato l’allarmante crescita dei movimenti antieuropei di destra e di sinistra — si è dato vita alla Commissione più mediocre e immobilista della storia dell’Ue. Cinque anni di governo europeo con Juncker agli ordini della Merkel hanno visto Brexit, esautoramento della Commissione da parte del Consiglio europeo e blocco di qualsiasi passo avanti nell’integrazione europea e nella difesa dell’Eurozona. Il fatto che le decisioni siano traslocate nel vertice dei capi di governo ha degradato l’unità europea e favorito i “sovranisti” e la politica economica a guida tedesca è stato il suicidio del bipartitismo europeo, come verosimilmente emergerà nel voto del 2019.