Le anticipazioni del rapporto annuale dell’associazione Svimez parlano chiaro. Il rischio di frenata del Pil del Mezzogiorno è reale: nel 2018 la crescita scenderà all’1% e l’anno dopo allo 0,7%. L’aumento dell’occupazione è proseguito, ma resta un ritardo di oltre trecentomila unità di lavoro rispetto al 2008: il tasso di occupazione è crollato in meno di dieci anni dal 35,8% al 28,5%. Si amplia inoltre il disagio per la qualità dei cosiddetti diritti di cittadinanza: da quelli sanitari e di cura alla istruzione, dalla gestione dei rifiuti alla efficienza degli uffici. Un quadro carico di ombre e di incertezze.
Il punto più delicato è quello su cui insiste da settimane Gianfranco Viesti: l’accondiscendenza del governo all’obiettivo delle regioni più ricche a trattenere la maggior parte del gettito fiscale. Su questo vorrei soffermarmi. Secondo la bozza di legge nazionale ufficialmente proposta dal presidente leghista del Veneto, l’intera materia, dopo il referendum sulla cosiddetta “autonomia differenziata”, andrebbe delegata dal Parlamento al Governo e da questi affidata a una commissione paritetica Italia-Veneto. In quanto ai contenuti, la Regione Veneto richiede una competenza esclusiva su tutto, dall’istruzione alla salute, dall’ambiente ai rapporti internazionali. Il Parlamento verrebbe tagliato fuori dalla valutazione delle funzioni e risorse da trasferire.
La questione, per le conseguenze che avrebbe sull’intero organismo nazionale, comporterebbe ben altro che una trattativa riservata tra Governo e Giunta regionale. Non solo. Si determinerebbero meccanismi di calcolo delle risorse regionali caso per caso dando vita, osserva Viesti, a italiani di serie A e B con diversi diritti e diversi servizi. La Lega è interessata a che le cose procedano in questa direzione. I 5Stelle hanno promosso insieme a Salvini il referendum negli scorsi mesi e oggi pensano di cavarsela con il Sud insistendo su una proposta demagogica apparsa chiaramente irrealizzabile come il reddito di cittadinanza. Il Pd, partito che dovrebbe essere il perno della opposizione, tace. Non solo. Nell’illusione di contendere ai populisti frazioni di elettorato, le giunte regionali dell’Italia centrale guidate dal Pd si sono precipitate, in modo confuso e disordinato, a richiedere condizioni particolari di autonomia. Considerato infine che “a chi vuol perdere, il Signore toglie la mente” alcune regioni del Sud le hanno seguite!
Questo processo rischia di essere devastante per tutti i cittadini del Centro-Sud. Diversamente da un percorso di sussidiarietà che, al contrario del grande caos che le pretese dei populisti determinerebbero, non metterebbe in discussione il governo dell’intero Paese, né l’uguaglianza dei diritti dei cittadini e un corretto rapporto tra Roma e le Regioni. Ma tant’è. Questi sono i tempi.
C’è un altro aspetto di cui tenere conto nel riflettere sulle sorti del Mezzogiorno in tempi di dominio politico populista. I 5Stelle mettono in discussione sia il futuro dell’Ilva che la realizzazione di infrastrutture considerate vitali dall’Unione europea per perseguire obiettivi di sviluppo e occupazione nell’area mediterranea dell’Europa. Insomma, mentre per il Mezzogiorno decisiva è una politica che favorisca la crescita, l’indirizzo del governo di grillini e leghisti è condizionato da preconcetti ostili all’industria e da una suggestione alla decrescita. Ciò in una fase particolarmente delicata per l’economia italiana: alla vigilia di un ridimensionamento della politica monetaria espansiva condotta dalla Banca centrale europea e nel pieno di una dissennata escalation dei dazi a livelli internazionale.
In verità, una tale condotta del populismo al governo non dovrebbe costituire una sorpresa. Non hanno dedicato al Mezzogiorno una sola parola nel loro “contratto di governo”, nei primi mesi di governo è mancato qualsiasi riferimento alle disparità territoriali, così come è mancata qualsiasi indicazione per lo sviluppo delle imprese private e la ripresa degli investimenti pubblici nel Sud, né il presidente del Consiglio ha trovato modo di ricordare che il governo rispetterà la clausola che garantisce (sulla carta) al Sud il 34% del totale degli investimenti delle amministrazioni pubbliche. Questa la situazione.
Cosa fare? Prima di tutto ridare un orizzonte e un’identità all’impegno meridionalista. Lo sviluppo del Sud va considerato un problema dell’intero Paese e di un’Europa capace di guardare oltre il suo cuore settentrionale. La questione meridionale, per dirla con la formula classica, può rinascere solo come questione europea e mediterranea. Trascurare la dimensione mediterranea del Sud, ne ha scritto mirabilmente Franco Cassano, impedisce di sfruttare il grande vantaggio competitivo che deriva da una posizione privilegiata in un mare che è tornato centrale nei traffici commerciali. Questa strategia può diventare concreta e attendibile se il Sud si attrezza a una tale sfida in particolare per quanto riguarda la dotazione di infrastrutture e la formazione e cura del capitale umano.
Vanno infine create le condizioni affinché il Sud possa attrarre investitori privati nazionali ed esteri. Una strada obbligata tenuto conto che, nella realtà attuale, è difficile affidare il restringimento del divario a maggiori trasferimenti di risorse finanziarie dal Centro-Nord. L’impresa non è facile: gli investimenti dall’estero, tra il maggio del 2009 e l’aprile del 2017, sono stati pari a 25,3 miliardi di euro nel Centro-Nord e di soli 4,7 miliardi nel Sud. Va aumentata l’efficienza della Pubblica amministrazione nel Mezzogiorno, in tutti i settori e particolarmente nel funzionamento del sistema della giustizia, nella lotta alla corruzione, nel contrasto della criminalità.
Il punto che vorrei sottolineare è tuttavia il miglioramento del sistema educativo del Sud (ne ha scritto efficacemente Antonio Napoli su queste pagine): togliere i ragazzi dalle strade, consentire il raggiungimento di traguardi formativi coerenti con l’offerta di lavoro. Questa la scelta strategica. Richiederà tempo, ma costituisce l’obiettivo essenziale per affrontare i problemi del Sud nel medio e lungo periodo. La scuola dovrebbe diventare nel Sud la fucina di una nuova coscienza civile. Quella di cui il Mezzogiorno d’Italia ha necessità. Per muovere in queste direzioni occorre nel Sud un’azione politica che, al di là di partiti screditati e disfatti, chiami all’impegno uomini di buon senso e di buona volontà.
Compito fondamentale oggi è combattere quella sorta di “pensiero unico reazionario” alimentato da Lega e grillismo. Un pensiero che incarna in sé la politica della chiusura e dell’intolleranza. Quanto di più lontano dagli interessi del Sud. Un pericolo per il futuro del Mezzogiorno. Con questa sorta di ideologia va ingaggiato un vero e proprio combattimento. Un combattimento che può essere vinto solo con la ripresa della battaglia delle idee, con un lavoro sistematico, in profondità, elaborando proposte, messaggi simbolici efficaci. La battaglia delle idee la vince chi ha uno sguardo più lungimirante e più aperto. Questa la sfida. Chi saprà raccoglierla?