Se fossimo in una situazione normale ogni giorno che passa costituirebbe un miracolo autentico per la capacità di questo governo di sopravvivere ai propri problemi: provvedimenti legislativi pochi, polemiche infinite, contro tutto e tutti. Salvini contro i giudici per la gestione dell’immigrazione, Di Maio contro la Società Autostrade, cui intende sottrarre la ricostruzione del ponte crollato a Genova. E ancora, Salvini contro i giudici per i 49 milioni di euro pretesi dalla Lega, e Di Maio contro le promesse pentastellate di chiudere l’Ilva di Taranto. E tutti i due i vicepremier contro l’Europa per allenatore il cappio del rigore, in vista della legge di bilancio.
Un simile governo dovrebbe essere facile preda delle opposizioni e delle forze sociali, ma in realtà non è così. L’esecutivo guidato da Giuseppe Conte è saldo sia dal punto di vista politico, sia da quello del consenso. I primi sondaggi post agostani parlano chiaro: Lega che vola ben sopra il 30%, e 5 Stelle un po’ appannati, ma comunque in salute. Un’area di governo che insieme vale il 60% del consenso (virtuale). Di fatto la coalizione gialloverde recita nel doppio ruolo, di maggioranza e di opposizione di se stessa (si pensi agli interventi del presidente della Camera Fico). Del resto, l’opposizione ufficiale risulta del tutto assente, anzi moribonda, marginale, residuale. E questo vale tanto per Forza Italia, ai minimi storici, quanto per un Pd che non ha ancora elaborato il lutto della batosta del 4 marzo.
Nemmeno le forze sociali sembrano avere la forza per mettere in difficoltà il governo, anche se la guardia resta alta tanto da parte dei sindacati che dalle organizzazioni imprenditoriali per un autunno che potrebbe sempre accendersi all’improvviso. A gettare acqua sul fuoco ci ha provato nel fine settimana il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, che ha spiegato come le onerose promesse dei due partiti di governo troveranno tutte spazio nella manovra, ma la loro attuazione sarà graduale, nell’arco della legislatura. La promessa fatta a Bruxelles è di non intaccare l’equilibrio dei conti pubblici.
Di sicuro al Quirinale si sarà tirato un sospiro di sollievo, ma la guardia resta altissima. Il presidente Mattarella si è fatto però più guardingo dopo il doppio caso dei migranti bloccati per giorni sulla nave Diciotti della Guardia costiera. A luglio il discreto intervento del Capo dello Stato per sbloccare la situazione, facendo scendere le persone a bordo, venne immediatamente reso pubblico. A metà agosto, quando la situazione si è ripetuta quasi uguale, Mattarella si è ben guardato dall’intervenire. Né in quell’occasione, né in futuro intende levare le castagne dal fuoco al governo. Men che meno vuole portare la responsabilità di un intervento che possa provocare una crisi di governo (Salvini aveva minacciato di dimettersi, se il presidente avesse chiesto per la seconda volta di far sbarcare i migranti).
Sbaglia però chi immagina un Quirinale immobile o, peggio, paralizzato nei prossimi mesi. Mattarella non ha alcuna intenzione, assicurano quelli che lo conoscono bene, di rimanere spettatore passivo. Solo che le circostanze lo inducono a essere più guardingo e a misurare ancor di più i suoi interventi. Non ci vuole un indovino per ipotizzare che in primo luogo aumenterà la sua moral suasion esercitata dietro le quinte. E forse se ne è già avuto un assaggio nella frenata di Salvini nella sua polemica con i magistrati.
Suo primo interlocutore sarà il premier Conte. Tocca a lui, secondo la Costituzione, mantenere l’unità d’azione del governo. E quindi a lui per costituzione il Capo dello Stato si rivolgerà ogni volta che vedrà messi in forse i fondamentali della politica nazionale, leale collaborazione fra i poteri dello Stato, equilibrio dei conti pubblici, impegni europei. Interventi pubblici non mancheranno, per stabilire precisi paletti, e lo si è visto con il messaggio fortemente europeista inviato dal Quirinale al forum economico di Cernobbio.
E se gli argini saranno in pericolo Mattarella non avrà timori nell’alzare la sua voce. Ma il presidente, in cuor suo, si augura fortemente di non doverlo mai fare. Si augura che il governo duri, perché l’ultima cosa che vorrebbe fare è dover firmare a Natale lo scioglimento delle Camere. Vista dal Quirinale l’Italia ha un dannato bisogno di stabilità.