Sembra un secolo. Ma dai tragici eventi di Genova sono trascorsi appena trenta giorni. Un mese di annunci, proclami, recriminazioni e di molte promesse. Trenta giorni di passione per i tanti sfollati a cui non è stata ancora offerta neppure l’opportunità di rientrare un’ultima volta “a casa” per ritirare gli effetti personali. Trenta giorni di polemiche su tutto, anche sui (cosiddetti) “funerali di Stato”, archiviati in tutta fretta come atti di cui vergognarsi, come un’imbarazzante dovere da sbrigare ed accantonare in fretta. E tutto ciò inquieta ed interroga.
Molto si è detto, scritto, dibattuto sul “gran rifiuto” dalla maggior parte delle famiglie coinvolte. Famiglie che, comprensibilmente e rispettosamente, hanno preferito la riservatezza alla sfarzosità, la compostezza alla piazza, l’anonimato alla ribalta.
Un dibattito — come accade troppo spesso — urlato, strumentale e, perciò stesso, talmente superficiale da trascurare un aspetto alquanto significativo che potrebbe persino gettare un’ombra di legittimità sull’evento.
Ma procediamo con ordine. Innanzitutto il merito. Come noto le esequie di Stato sono normate dalla legge 7 febbraio 1987, n. 36, recante “Disciplina delle esequie di Stato” e dalla “Circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri 18 dicembre 2002, n. UCE/3.3.13/1/5654 sulle esequie di Stato”. In base alla suddetta normativa i funerali di Stato “spettano (sempre ndr) alle massime autorità della Repubblica in carica, o dopo la cessazione di essa” e “possono inoltre essere rese, su delibera del Consiglio dei Ministri, a personalità che abbiano offerto particolari servizi alla Patria o cittadini che abbiano illustrato la Nazione, o cittadini caduti nell’adempimento del dovere o vittime di azioni terroristiche o di criminalità organizzata.” (art. 1 della Circolare. Artt. 1, 2, 3, 2.1 e 3.1 della L. 36/87)
Quindi, fatta sempre e comunque salva la partecipazione dell’intera nazione al cordoglio delle vittime e della città, a termini strettamente normativi per eventi catastrofici come il crollo del ponte “Morandi” a Genova non sono previsti funerali di Stato.
Non basta. Oltre alla negazione dei funerali di Stato per le sciagure tout-court, la normativa di settore specifica che, oltre alle cariche apicali dello Stato per le quali le esequie sono sempre previste e poste direttamente a carico del bilancio statale, in tutte le altre fattispecie contemplate dalla legge l’assunzione di spesa per i funerali di Stato (ovvero, “l’indizione” degli stessi) è demandata ad un Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri previa deliberazione del Consiglio dei Ministri (art. 2.1 e 3.1).
Siamo al punto! Dai documenti reperibili in rete o direttamente dalla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, nelle riunioni del Consiglio dei ministri tenutesi a Genova nei giorni 15 e 18 agosto (rispettivamente seduta n. 15 e n. 16 del Cdm), antecedenti la cerimonia, non sembra emergere alcuna deliberazione riferita espressamente ai “funerali di Stato” con la relativa attribuzione delle spese a carico del bilancio pubblico.
Sicuramente la ricerca sarà fallace e, dopo la denuncia, i documenti fioccheranno, ma appare alquanto singolare che un così importate pronunciamento del Consiglio dei ministri, qualora sia avvenuto, non possa essere subito facilmente reperibile e direttamente fruibile dall’opinione pubblica sul sito ufficiale del Governo.
Una dimenticanza che, se confermata, oltre a sollevare possibili problemi di trasparenza e mettere a rischio il pagamento delle spese degli stessi funerali da parte dello Stato, potrebbe addirittura configurare violazioni ben più pesanti che neppure la comprensibile volontà politica di dimostrare una concreta vicinanza alle vittime, alle loro famiglie ed all’intera comunità colpita, potrebbe forse giustificare appieno.