Caro direttore,
il neo-ministro dell’Interno, Matteo Salvini, ha indubbi meriti personali carismatici se da quando ricopre tale incarico è riuscito a catalizzare l’attenzione dei media, spiazzare i suoi detrattori senza risultare volgare o accidioso, dettare l’agenda di Governo in merito agli sbarchi di migranti, proporre quota “cento” per le pensioni e voler introdurre la flat-tax.
Oltretutto è riuscito a rendere innocua la brutta vicenda dei 49 milioni di euro in rimborsi elettorali spariti dalle casse del partito; sì, perché Salvini, oltre che prestigioso ministro, ricopre anche l’incarico di segretario della Lega Nord, e anche in questo ruolo è riuscito negli ultimi cinque anni a fare qualcosa di assolutamente storico, portare un partito ridotto a poco meno del 3% su base nazionale, sommerso dagli scandali della gestione Belsito-Bossi & the family, a oltre il 30% stando agli ultimi sondaggi. Una crescita addirittura esponenziale rispetto al già corposo risultato elettorale del marzo scorso, che lo ha portato a superare lo scomodo alleato degli ultimi quindici anni, Forza Italia a guida Silvio Berlusconi.
Fin qui il ritratto a tinte colorate e allegre per Salvini e la Lega Nord. Ma cosa è rimasto della ragione primigenia della nascita della Lega, nell’attuale guida di Salvini?
Di fatto, nulla. La Lega nasce a metà degli anni Ottanta per rivendicare un maggior peso politico da parte di un’area territoriale buona solo per produrre, allora come oggi, la maggior parte della ricchezza nazionale, che poi i vecchi partiti della Prima Repubblica sprecavano in mille rivoli di spesa pubblica improduttiva, ma utile ai fini del consenso elettorale.
Un partito nato dal basso, dalla gente e tra la gente, senza mediazioni o intercessioni di palazzo, un partito con un linguaggio sanguigno, diretto, per taluni rozzo, ma comprensibile e maggiormente credibile rispetto al paludato linguaggio burocratese da-presa-per-i-fondelli dei politici di allora, un partito che dapprincipio predicava maggiore autonomia territoriale, proponendo una struttura federale in luogo di quella unitaria-centralista.
L’evolversi delle vicende politiche porteranno al crollo dei partiti storici e con loro della Prima Repubblica, sotto i colpi delle inchieste della Procura di Milano, con l’ascesa, la crescita del consenso elettorale di nuovi soggetti politici, fra i quali appunto, la Lega Nord.
Le fasi storico-politiche successive vedranno la Lega passare dall’idea federalista a quella secessionista, trasformando il partito in Lega Nord per l’Indipendenza della Padania. E’ il 1996, l’idea secessionista infiamma la politica italiana, tanto che il 15 settembre 1996 nel consueto raduno di Venezia, l’allora segretario e leader del partito Umberto Bossi dichiara la nascita della Repubblica Federale della Padania, e l’indizione di un referendum per sancirne l’indipendenza dallo Stato italiano.
Nel maggio dell’anno seguente venne organizzato il referendum per l’indipendenza della Padania al quale parteciparono quasi 5 milioni di persone e nel quale il sì vinse con il 97% dei voti. E ancora, nello stesso 1997 si tennero le elezioni per il Governo provvisorio della Repubblica Federale della Padania e per il suo Parlamento, il Parlamento del Nord con sede a Villa Bonin Maestrallo a Vicenza.
Inutile ricordare che tutto ciò si risolse in un nulla di fatto, niente Padania indipendente, niente di rilevante dal Parlamento padano, chiuso e riaperto più volte da allora in location diverse, ma sempre con il medesimo risultato: nulla.
Tra alti e bassi la Lega ha ancora avuto modo di restare in auge anche nei governi in alleanza con Berlusconi, cercando di non tradire la sua ragione di esistere, alternando concetti come “devolution”, federalismo fiscale, riforma federale, e via dicendo, in un contorto e pretestuoso tentativo di essere sempre alle origini, anche quando risultava ormai il partito più vecchio del parlamento italiano.
Già il compianto Gilberto Oneto ricordava come negli ultimi anni la Lega assomigliasse al Pci degli anni Ottanta, dove la base credeva ancora di poter ottenere una società di eguali, i dirigenti intermedi facevano buon viso a cattivo gioco, i dirigenti del vertice ridevano all’idea, giudicandola inarrivabile. Parimenti nella Lega, man mano che dalla base si saliva ai vertici, si aveva più di un sentore che di secessione, di autonomia, di federalismo, non importasse a nessuno, perché fondamentale era solo tenersi la poltrona.
Matteo Salvini non ha certamente colpe in merito alla sparizione di milioni di euro di rimborsi elettorali, ma il fu-comunista padano ha certamente la colpa di aver azzerato l’essenza della Lega Nord nella politica italiana, non cavalcando nessuno dei temi che l’hanno portata ad essere a più riprese “il sindacato del Nord”.
Ora la Lega di Salvini è nazionalista, non federalista, è sovranista, non europeista, è di fatto un soggetto più simile ad Alleanza Nazionale che non alla Lega di Bossi.
Certo, alcuni esponenti della vecchia e fallimentare guardia rimangono, con ciò dimostrando che non il coraggio degli ideali e il senso di responsabilità verso i popoli del Nord li guidavano nell’agire politico, bensì l’interesse e l’ambizione personale, diversamente da quanto fatto dal presidente del Governo della Catalogna, Carles Puigdemont, capace di sacrificare la propria carriera politica per l’ideale della Catalogna indipendente.
Salvini ha salvato la Lega dalla sua scomparsa elettorale anni fa ma, di fatto, oggi che è oltre il 30% dei consensi, è ancora più morta e sepolta, perché dello spirito e degli ideali iniziali non vi è traccia; oltretutto con la crisi economica che ha attanagliato l’Italia tutta, ma specialmente il Nord dove il sistema produttivo privato è più diffuso, sarebbe stato importante avere una forza politica presente e forte. Invece, neanche in quella situazione drammatica è stata in grado di essere presente e utile al suo territorio.
In conclusione, così recitava l’allora segretario Umberto Bossi nel lontano 15 settembre 1996: “Noi, popoli della Padania, solennemente proclamiamo: la Padania è una Repubblica federale indipendente e sovrana. Noi offriamo, gli uni agli altri, a scambievole pegno, le nostre vite, le nostre fortune e il nostro sacro onore”.
Qualcuno ha tradito il suo popolo. La Lega Nord, oltre il 30% dei consensi per i sondaggisti, in realtà è un ectoplasma sotto l’aspetto dell’ideologia sottesa, meglio sarebbe stato scomparire che rimanere in vita come una riedizione di Alleanza Nazionale. Meglio per il Nord, non per chi ha poltrone e prebende.
Più ancora delle colpe sui rimborsi elettorali spariti, i maggiorenti del partito dovrebbero arrossire per aver palesemente preso in giro e tradito il loro elettorato.