“In base al nostro ultimo sondaggio, per la prima volta dal 2009, e dopo essere salito fino al 2017, cala, di ben 15 punti, la percentuale di italiani che hanno fiducia nell’Europa, anche se i favorevoli restano la maggioranza. A pesare – spiega Arnaldo Ferrari Nasi, sociologo e analista politico – più che il progetto europeo in sé, sono alcune circostanze precise, come le vicende dei migranti, dove gli italiani si sono accorti di come l’Europa abbia chiuso le porte”. E alla domanda se l’Italia conta poco in Europa, “emerge che solo il 22% dà la colpa agli altri Paesi, mentre il 40% dice che l’Italia non è capace di far valere le proprie ragioni. Comunque la percentuale di chi vuole abbandonare la Ue è marginale, anche tra gli elettori di Lega e M5s. La maggioranza, ancora solida, crede nel progetto europeo generale, valoriale. Sa che se non restiamo in Europa, nei prossimi anni diventeremo come la Serbia: un Paese fortemente identitario, ma assolutamente irrilevante. E c’è una maggioranza di italiani convinta che dobbiamo impegnarci di più”.
Partiamo dai numeri del sondaggio sulla fiducia che gli italiani ripongono nell’Europa. Che cosa ci dicono?
È dal 2009 che ogni anno rivolgo questa domanda sulla fiducia e il dato più evidente è che, dopo anni in crescita, partendo dal 55% del 2009 fino ad arrivare al 69% del 2017, quest’anno è invece crollata di 15 punti, al 54%, sommando coloro che sono favorevoli agli Stati Uniti d’Europa con leggi comuni e governo comune e coloro che vogliono un’Europa formata da Stati indipendenti con politica estera e difesa comune.
Perché, secondo lei, questa caduta?
Dopo una campagna elettorale dai toni morbidi, con la nascita del nuovo governo giallo-verde si sono affrontate situazioni, come nel caso dei migranti, dove si è cercato, sul piano concreto e non solo ideale, di coinvolgere l’Europa su iniziative di buon senso, tipo la redistribuzione equa dei profughi tra i vari Paesi. Ma in questo caso la gente ha notato che la Ue ha chiuso le porte. Dunque, a mio parere, più che la propaganda di Lega e M5s contro i burocrati di Bruxelles, tema che c’è sempre stato pur non avendo mai sortito una grande presa sui cittadini, a provocare il crollo di fiducia è stata la prova pratica di un’Europa che, lo ripeto, ha chiuso le porte. Gli italiani non vogliono andarsene, ma hanno un po’ tirato il freno.
E dove vanno questi 15 punti persi?
Stranamente non vanno a coloro che dicono che ce ne dobbiamo andare: questo gruppo, dal 2009 a oggi, è residuale, si è sempre aggirato intorno all’8-9%. Il 15% di chi ha cambiato idea è confluito nel gruppo di coloro che vogliono rimanere nell’Unione, così come è ora, solo con le facilitazioni commerciali.
Che cosa significa?
Che l’entusiasmo degli italiani si è raffreddato.
È una sorta di sfiducia verso il progetto europeo o più un senso di abbandono, la percezione che la Ue sia insensibile ai problemi concreti, come la crisi economica o la questione immigrazione?
Non è sfiducia verso il progetto europeo, che infatti non decade e raccoglie ancora la maggioranza assoluta in termini di consenso.
Per fasce d’età, dove si registra il tasso più elevato di sfiducia?
Se il dato nazionale è del 28%, nella fascia 18-55 anni si va oltre il 30%. Al contrario, gli over 55, quelli che hanno vissuto più da vicino la nascita del progetto comune, vogliono più Europa.
Passiamo alle risposte in base ai partiti di preferenza. Gli elettori del governo giallo-verde la pensano allo stesso modo?
Sui partiti si notano molte differenze. I leghisti sono i meno entusiasti. Fino all’anno scorso anche gli elettori di Salvini, sommando i favorevoli alla Ue, superavano il 60%, mentre oggi sono al 45%, e l’opzione da loro meno gradita è quella degli Stati Uniti d’Europa, che raccoglie appena il 19%.
E tra i Cinquestelle?
Anche loro sono più freddini con l’Europa. Sia tra i leghisti che fra i grillini aumenta la quota di chi vuole rimanere in Europa così com’è.
Quanti sono favorevoli a un abbandono della Ue?
La quota di chi vuole andarsene è minimale: tra i leghisti vale l’8%, in linea con il dato nazionale, mentre nel M5s si ferma al 6%.
Guardando agli altri partiti della coalizione di centrodestra, così come si è presentata al voto del 4 marzo, che cosa emerge?
Mi ha sorpreso il dato di Fratelli d’Italia, che su certe prese di posizione può essere paragonato alla Lega. Ebbene, c’è addirittura un 74% di favorevoli alla Ue, con un 51% che dice sì agli Stati Uniti d’Europa con leggi comuni e governo comune. Ho ripensato alle parole di Almirante, figura che è una delle radici di FdI, ma non della Lega. Almirante diceva: la destra o è europea o non è. Qui dunque c’è una differenza che può essere non negativa.
Perché?
Perché, politicamente parlando, dovesse riformarsi una coalizione di centrodestra, questa posizione di fiducia sull’Europa aiuta a coprire un’area politica piuttosto ampia.
E gli elettori di Forza Italia?
In linea con la media nazionale.
Veniamo al centrosinistra. Come la pensano gli elettori del Pd, il partito più europeista?
Sono molto favorevoli all’Europa, ma con una quota inferiore a FdI.
Nel suo sondaggio lei ha chiesto agli italiani quanto conta l’Italia in Europa. Come la pensano?
Ho posto loro quattro opzioni. La prima – l’Italia conta poco perché ci sono nazioni che sminuiscono e contraddicono l’Italia per far valere i propri interessi – raccoglie il 22% dell’elettorato; secondo un altro 40%, invece, il nostro Paese conta poco perché è la politica italiana che non è in grado di far valere i nostri interessi nazionali. Poi c’è un 16% che è convinto sia tutta colpa della nostra debolezza politica ed economica. Infine, un 20% che dice che non è vero che non contiamo.
Non le sembra che avere un 40% di persone che sostiene che non siamo in grado di far valere le nostre ragioni in Europa contraddica la muscolarità di Lega e M5s verso la Ue? Quella dell’Italia è una muscolarità velleitaria?
Direi di sì. Già nel 2015 avevo posto la stessa domanda e anche allora la percezione maggiore è che non siamo noi abbastanza forti.
Anche quel 22%, cioè solo un italiano su cinque, che crede che sia colpa degli altri Paesi cattivi sembra smentire la vulgata del governo giallo-verde, non crede?
Tra gli elettori della Lega è il 30% la quota di coloro che se la prendono con gli altri Paesi, ma il 42% dice che l’Italia non è in grado di far valere gli interessi nazionali, in linea con il dato generale. Tra i Cinquestelle, invece, si arriva quasi al 50%, come in Forza Italia, mentre tra gli elettori di FdI si sale addirittura al 60% di coloro che dicono che siamo noi incapaci a farci valere.
Secondo lei, il governo nei rapporti con l’Europa sta interpretando il sentiment degli italiani?
Parzialmente. È positivo aver posto con fermezza alcuni problemi, come l’immigrazione e la solidarietà europea. Ma su temi più politici ed economici gli italiani sanno bene che se non si fanno i compiti a casa, prima o poi ti bocciano. Per quanto puoi raccontare che è la maestra che ce l’ha con te, è difficile convincere i più, avendo un debito pubblico già oltre il 130%. Va bene alzare la voce, ma non basta; bisogna essere credibili. Cioè, se sai ricostruire in fretta il ponte di Genova, se fai la Tav, allora dimostri di essere un Paese che funziona.
(Marco Biscella)