Un ex grande quotidiano del Paese ha aperto l’altro ieri con un titolo-speranza: “Di Maio all’assalto di Tria”. La vecchia “Pravda” moscovita sarebbe stata più immediata e, per rispetto alla comprensione di qualche cittadino-compagno, avrebbe scritto: speriamo che questo governo vada a gambe all’aria.



In effetti, questa speranza ha una sua ragione, ma gestita dalla “nuova Pravda” italiota fa morire dal ridere, anche se hai il magone in gola. In più, non avendone azzeccata una che è una da almeno dieci anni a questa parte, c’è il pericolo che il governo del “cambiamento” del menga si ricompatti un’altra volta ancora di più, ancora più forte. In sostanza, mentre si discute della legge di bilancio emergono tutte le contraddizioni che esistono in questa maggioranza piuttosto eterogenea ed emergenziale. Ma a che cosa servono queste contraddizioni?



Cominciamo con la cronaca. Il pentastellato e vicepresidente del Consiglio, Luigi Di Maio, sostiene che il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, un personaggio sostenuto per la sua ragionevolezza dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, debba saper “trovare i soldi necessari” per far star bene gli italiani. Quindi per il grillino rampante si può arrivare a un deficit del 2,5%, che smentisce la soglia dettata da Tria con l’1,6%, che è già alto rispetto agli impegni europei presi, perché il famoso 3% deve andare in discesa e alcuni “squilibrati” negli anni passati (ispirandosi all’economia del Seicento e Settecento, rivisitata con imbrogli accademici da von Hayek e Milton Friedman) hanno approvato il Fiscal compact e messo in Costituzione, all’articolo 81, il pareggio di bilancio.



Si sapeva comunque che il documento della manovra finanziaria sarebbe stato il primo ostacolo serio, il primo “redde rationem” di questo governo piuttosto sgangherato. Tuttavia questo passaggio cruciale apre tre scenari che si intrecciano tra loro e delineano la gravità dei prossimi mesi che il Paese e l’Europa dovranno vivere.

Primo scenario. Il governo è indubbiamente diviso al suo interno, tra le aspirazioni della Lega e l’ideologia dei pentastellati. Malgrado tutti i salti mortali, rispetto alle cose dette in passato, le due forze politiche emergenti della cosiddetta “terza repubblica” si rendono conto perfettamente che non possono onorare il contratto-accordo su cui hanno costruito il governo. Reddito di cittadinanza, flat tax, pace fiscale o condono che sia, rimpatrio dei clandestini, rilancio della crescita, vari interventi di carattere sociale, e chi ne ha più ne metta, sono sogni irrealizzabili di fronte alla nostra disponibilità finanziaria, all’imponenza del nostro debito e all’ossessione dei mercati, dello spread e concettualmente del debito stesso, all’impossibilità di realizzare grandi investimenti per sostenere la domanda interna.

Di fronte a questo programma-contratto e a ripetute dichiarazioni, viene il sospetto che l’ipotesi più credibile sia quella che il governo giallo-verde, che ha una maggioranza nel Paese tanto consolidata da superare ormai il 60%, cerchi sistematicamente la rissa con l’attuale Europa di Bruxelles, ma anche con qualsiasi versione di integrazione europeistica con parametri rigidi in materia economica, soprattutto, e anche nel programmare un’immigrazione in modo razionale. E cerchi, quindi, lo scontro con gli europeisti presenti in ogni Paese. Altro che nuova Europa!

Al limite, quando si dovrà discutere in sede europea il bilancio, il nostro governo sarebbe probabilmente contento, felice nella sua miopia, che ci fossero i rimbrotti più duri e più severi dell’Unione Europea per presentare di fronte all’elettorato la “bontà” del suo programma e l’inidoneità di una deflazione cronica proposta dalle ricette economiche dell’Unione. Questo vale a Bruxelles, ma vale anche per l’Italia.

Sia nella versione bullesca di Matteo Salvini, sia in quella di “scolaro per bene” di Luigi Di Maio si vede ormai una voglia di sfida che questa maggioranza presenta anche in Italia, anche ai tutori di una ragionevole moderazione e di una riforma graduale in sede europea.

La sensazione è che siamo alla partita finale nei confronti di un’Unione Europea che non convince più nessuno e che viene contestata largamente ovunque. L’immagine è quella di una maggioranza italiana che promette investimenti per rilanciare la crescita contrapposta a una burocrazia europea, con amici da un po’ tutte le parti che vogliono una stato di deflazione programmata con irragionevoli differenze sociali sempre più intollerabili.

È una partita rischiosa, fatta da avventurieri come Salvini che promettono l’impossibile e contrastata da burocrati che non sanno neppure che cosa sia la politica. È una drammatica sfida tra perdenti! E’ la base del prossimo scontro alle elezioni europee della prossima primavera.

Il secondo scenario è l’Europa stessa, dove si vedono e si sentono cose dell’altro mondo. Persino i telegiornali italiani hanno cominciato a sussurrare che Emmanuel Macron è ai minimi storici nei sondaggi di popolarità in Francia. Ma era inevitabile, dato che stanno processando il suo guardaspalle, licenziato, che menava i dimostranti del suo ex padrone. Angela Merkel è invece preoccupata e fa piazza pulita nei servizi segreti tedeschi (per tradizione, tranne in un caso, popolati da emeriti cretini), ma soprattutto pensa alle elezioni in Baviera che, secondo i sondaggi, si dimostrano problematiche e guarda con apprensione ai disordini che avvengono sistematicamente nell’ex Karl-Marx-Stadt, che oggi, per uno strano e inutile pudore, è stata ribattezzata Chemnitz.

Poi ci sono personalità che furoreggiano, come il francese Pierre Moscovici, una “talpa” segreta di Salvini con le sue dichiarazioni al fulmicotone che rimbalzano sulla sua faccia, quindi il decisivo ministro degli Esteri del Lussemburgo, Jean Asselborn, compagno di bar e di paradisi fiscali di Jean-Claude Juncker, altri due alleati involontari del capo leghista Salvini.

Naturalmente i benpensanti confidano nel “grande mago” Mario Draghi, nel “piccolo drago” Antonio Tajani e nella molto appartata, quasi invisibile, Federica Mogherini. Tutti insieme, qualcuno certamente di più e altri di meno, hanno perseguito una politica economica che è stata bollata d’austerità deflazionistica da premi Nobel come Paul Krugman e Joseph Stiglitz. Ma a Bruxelles e anche a Roma, quelli “intelligenti” fanno notare che Krugman e Stiglitz sono solamente due premi Nobel per l’economia. Non sono mica senatori a vita come Mario Monti, soprannominato “la catastrofe”, e come la signora Elsa Fornero, la cosiddetta “santa dei pensionati”.

Insomma, questa grande Europa, che è stata un grande sogno, qualche responsabilità nella sfida che le viene portata dal bullo leghista e dallo scolaro Di Maio, qualche responsabilità ce l’ha.

Poi c’è il terzo scenario, animato dall’opposizione italiana. Qui i lati comici sono indubbiamente prevalenti, anche se il tutto è avvolto da infinita tristezza. Anche i commentatori dell’ex grande quotidiano italiano dovrebbero fare attenzione agli antenati storici dell’attuale sinistra italiana. Avrebbe origini marxiste? Veramente era Filippo Turati che si definiva un marxista scientifico. Ma non c’entrava nulla con il marxismo post-classico del leninismo e del “centralismo democratico” concepito dallo studio appassionato di von Clausewitz. E neppure con tutto il resto fino alle acrobazie della “questione morale” e dell’uscita a sinistra di Achille Occhetto alla Bolognina, tanto meno con il riformismo.

È vero, purtroppo, che la sinistra vincente in Italia ha sempre fatto fatica a mettersi al passo con i tempi. Umberto Terracini e Camilla Ravera riconobbero nel 1969 che nel 1921, a Livorno, aveva avuto ragione Turati. Insomma, quasi mezzo secolo per comprendere. Forse è per questa ragione che poi la sinistra ha bruciato le tappe ed è diventata neoliberista. Ma lo spettacolo di questi giorni è incredibile e vale il biglietto di una commedia teatrale. C’è uno che vuole sciogliere il partito; un altro che invita altri due a cena, ma non il segretario; un terzo che digiuna per protesta e uno dei mancati commensali che vuole chiamare lo psichiatra. Un po’ dura battersi contro gli avventurieri che stanno in questo momento al governo.

Compendio finale di questi tre scenari intrecciati? Noi sicuramente sbaglieremo, ma ripensiamo a sir John Maynard Keynes. Oggi direbbe di fronte a tale disastro: ecco quello che accade quando vincono i dentisti, anzi gli odontoiatri non umili. Al posto di aggiustare i denti si occupano di politica, storia e filosofia. Ma è già capitato tutto e nessuno ha vinto, mentre sta arrivando il caos.