Si dice che il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, sia tranquillissimo, nonostante gli spintoni e gli ammonimenti che arrivano dal vicepresidente del Consiglio, Luigi Di Maio, sulla necessità di “trovare i soldi per gli italiani”, invitandolo quindi a  non stare troppo attento ai decimali sul rispetto dei parametri europei nella stesura della manovra finanziaria. 



Tria non vuole superare l’1,6 di deficit, Di Maio (ma nel governo non solo lui a quanto pare) arriva a ipotizzare anche un 2,5 e se necessario qualche cosa di più. Il vicepresidente pentastellato non bada a spese quando si tratta di attuare riforme e investimenti, che poi però entrano nei conti pubblici di tutti gli italiani. Vuole essere audace, generoso e popolare. 



Mentre si trasforma, al contrario, in un povero “frate” con i sandali invernali, per pura propaganda da quattro soldi, quando prende l’aereo per andare in Cina, dove ha rinunciato, nel giubilo comico della “terza repubblica”, alla business class. La prossimo volta, per onorare ancora di più il “cambiamento”, potrebbe viaggiare in bicicletta, magari in tandem con l’intransigente Roberto Fico.

Banalità anti-retoriche e anti-casta a parte, non c’è dubbio che la manovra finanziaria e le discussioni intorno alle possibilità riformiste del governo rivelano almeno tre anime in conflitto tra di loro in questa maggioranza emergenziale senza capo né coda.



C’è l’anima del “padrone” leghista, con il braccio da bullo-duro di Matteo Salvini e la mente politica (una rarità in questi tempi sventurati) di Giancarlo Giorgetti. In diversi modi, però, vogliono uno scontro pesante, fanno pressing contro un’Europa che sta in piedi a malapena e si preparano, guadagnando il tempo che riescono a  trovare, per arrivare alle elezioni del Parlamento di Strasburgo e a rimettere in discussione pesantemente l’Unione Europea. 

Intanto dialogano con i resti di Berlusconi, facendo digerire il tutto ai pentastellati, che non prendono neppure in seria considerazione. E’ probabile che i leghisti portino a casa, per questa maggioranza eterodossa, il presidente della Rai con Marcello Foa e magari anche il presidente della Consob con Antonio Maria Rinaldi.

La seconda anima della maggioranza è rappresentata dai pentastellati, quelli che dovevano aprire il potere politico “come una scatola di tonno”, insomma i vecchi figliocci di Luca Cordero di Montezemolo e di Paolo Mieli. Scaricati dopo l’operazione anti-casta, i pentastellati non sanno dove andare a sbattere la testa, tra richieste di ogni tipo: dal giustizialismo “tira e molla” fino allo sfondamento dei parametri economici europei, per un inconsistente o inesistente ripensamento del modello di sviluppo, che al momento si limita a  un assistenzialismo senza alcuna base progettuale di crescita. Lasciamo perdere la democrazia diretta, per carità di patria!

I grillini sono annoverati nella cosiddetta area populista e sovranista. Scalpitano, ma sono in calo nei sondaggi, perché qualcuno comincia a pensare che siano solo apprendisti stregoni,  meno bravi dei leghisti.

La terza anima è quella della “ragionevolezza perduta”, quella che cerca di operare il disperato tentativo di non cadere in un caos incontrollabile. I maggiori rappresentanti sono Giovanni Tria e, probabilmente, il ministro degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi, che sperano (chissà come) in una riforma virtuosa dell’Unione Europea, in passi calibrati verso un ritorno alla normalità politica, sociale e sopratutto economica. 

I “suggeritori” di questa terza anima sono con tutta probabilità il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e il presidente della Bce, Mario Draghi, che ha però sempre un “filo rosso” con l’amata e mai dimenticata Goldman Sachs e per questa ragione non è  ben visto dai tedeschi.

Considerando l’attuale stato dell’opposizione di sinistra, in Italia soprattutto, ma anche in Europa, c’è da rimanere costernati. E’ una sinistra senza arte né parte, inconsistente, pasticciona e litigiosa, che paga errori antichi soprattutto in Italia. Se si fa eccezione per l’inglese Jeremy Corbyn, per il francese Jean Luc Mélenchon, per qualche esponente della tedesca Die Linke, per qualche italiano, marginalizzato per le sue idee di riformismo economico come Stefano Fassina o Alfredo D’Attorre, l’opposizione di sinistra italiana ed europea è una sorta di cornetto alla crema, perfettamente idoneo solo a qualche critica al fondamentale “spirito del mercato”, al neoliberismo che è stato sponsorizzato già da Clinton e da Blair. 

Per questa opposizione alla crema, il keynesismo ad esempio è una pericolosa dottrina sovvertitrice, una concezione da sradicare dalla mente di alcuni economisti che magari la difendono ancora con passione per i meriti che ha avuto in un passato non troppo lontano e che pensano che la si possa persino migliorare.

Il risultato di questa scelta neoliberista è appunto di essere radicalmente anti-keynesiana e di aver provocato la crisi devastante del 2007-2008 e il lento spappolamento, per dichiarata politica dell’austerità anti-ciclica, dell’Europa.

E’ in questo contesto che soprattutto in Italia, ma anche in Europa, spopola una rissa continua e una totale assenza di spirito europeistico. 

I sintomi e i segnali di questa situazione? Mentre a Roma le tre anime si fronteggiano, litigano, si dividono, si riappacificano, mediano e non si capisce bene che cosa vogliano o possano fare, a Salisburgo si riunisce lo spettacolo pirotecnico di una riunione degli Stati europei che sono tutti contro tutti, mentre l’angelica Angela Merkel cerca di mediare, pensando soprattutto alle prossime elezioni in Baviera, mentre dovrebbe rileggere quello che pochi mesi prima di morire scriveva,  con grande passione e rimproveri accorati, l’ex cancelliere socialdemocratico Helmut Schimdt.

La miopia politica italiana è, in fondo, solo un riflesso della più generale miopia politica europea. I cosiddetti “sovranismo” e “populismo” non nascono dal nulla. In politica, come in fisica, non esiste il vuoto.

Se i cittadini si sentono abbandonati, sfiduciati, senza prospettive e non rappresentati nelle loro esigenze principali, scelgono quelli che, anche confusamente, raccolgono le loro lamentele e le loro speranze.

Oggi la grande rissa e la grande confusione che vediamo sta proprio tra una massa di ribellismo confuso e contestatario e una falsa razionalità contrabbandata in questi anni come modernità funzionale.

Per alimentare il pasticcio scendono in campo anche le agenzie di rating (quelle che facevano ridere nella vecchia Mediobanca). La prestigiosa Fitch sentenzia che la Brexit e l’Italia sono un problema per l’Europa. C’è da crederci? Fitch, il venerdì prima del week end che vedeva il fallimento di Lehman Brothers, sentenziava che la banca d’affari americana godeva di salute eccellente e di una valutazione da tripla A. Insomma in tre giorni Fitch, che vuole insegnare al mondo come va l’economia, aveva sbagliato tutto e il 15 settembre 2008 Lehman Brothers chiudeva i battenti.

Ma ci sono anche le prestigiose organizzazioni internazionali, come l’Organizzazione per la Cooperazione  e lo Sviluppo economico. L’Ocse, che in questi giorni rivede le stime al ribasso dell’Italia, aveva spiegato il 25 marzo del 2016 che, sulle analisi e sui conti della Grecia (ormai ridotta a uno straccio), qualche cosa era stato sbagliato. Complimenti!

Ma come pensare, di fronte a questo panorama, nazionale e internazionale, che non si viva in un grande imbroglio? E oltre a tutto, un grande imbroglio concepito da avidi cretini e non da golpisti intelligenti. In un simile clima, l’unica cosa è cercare di vivacchiare, di andare avanti, sperando che, come nella favola ebraica, gli angeli arrivino alla fine per salvare il mondo che sta cadendo nel vuoto.