Uno scorre le righe di cronaca sul caso Parnasi — il costruttore romano che pare abbia corrotto decine di politici locali e nazionali — inciampa nella sigla del Partito democratico, il cui tesoriere Bonifazi è da ieri inquisito, e se ha i capelli grigi non può non ricordare quel discorso, fondamentale, tenuto da Bettino Craxi — ancora segretario del Psi — alla Camera dei deputati il 3 luglio del ’92, durante il dibattito sulla fiducia al governo Amato, quello che avrebbe fatto la finanziaria dei 90mila miliardi e del prelievo forzoso del 6 per mille dai depositi bancari, primo atto formale di un’austerity certo inevitabile ma destinata a lasciare un’Italia più povera di prima.
“È tornato alla ribalta in modo devastante il problema del finanziamento dei partiti, o meglio del finanziamento del sistema politico nel suo complesso, delle sue degenerazioni, degli abusi che si compiono in suo nome, delle illegalità che si verificano da tempo, anzi da tempo immemorabile”, disse Craxi, riferendosi alla campagna giudiziaria di Mani Pulite che proprio in quei mesi stava imperversando. E scaraventò sugli scranni dei deputati una sua verità che — pur tra mille anatemi e mille esecrazioni — non è mai stata superata da alcun’altra verità. L’Italia non ha ancora saputo darsi né un convincente e trasparente regolamento del finanziamento lecito dei partiti, né un sistema di anticorpi giuridici, giudiziari e istituzionali capace di dissuadere corruttori e corruttibili.
“Ciò che bisogna dire”, proseguì quel giorno Craxi, “e che tutti sanno del resto, è che buona parte del finanziamento politico è irregolare o illegale. I partiti, specie quelli che contano su apparati grandi, medi o piccoli, giornali, attività propagandistiche, promozionali e associative, e con essi molte e varie strutture politiche operative, hanno ricorso e ricorrono all’uso di risorse aggiuntive in forma irregolare od illegale. Se gran parte di questa materia deve essere considerata materia puramente criminale, allora gran parte del sistema sarebbe un sistema criminale. Non credo che ci sia nessuno in quest’Aula, responsabile politico di organizzazioni importanti, che possa alzarsi e pronunciare un giuramento in senso contrario a quanto affermo: presto o tardi i fatti si incaricherebbero di dichiararlo spergiuro”.
Nessuno si alzò, nessuno ebbe il coraggio di accogliere la provocazione di Craxi. Ma nessuno diede alcun seguito a quell’atto di accusa istituzionale dalla gravità senza precedenti. Perché nella logica politica della competizione di brevissimo termine, tutti speravano che l’ondata della melma si fermasse sugli altri, e risparmiasse se stessi. E in buona parte — va detto — il Pd (o meglio i suoi progenitori del momento) ebbe la meglio perché in quella stagione la scampò, salvo qualche pesce piccolo, grazie al granitico mutismo del “compagno Greganti”, che si supponeva avesse intermediato le partite più torbide.
“Nessuno ebbe neanche il coraggio di riconoscere che si trattava di un problema politico, da risolvere politicamente”, annotava di lì a poco il Corriere della Sera: “Tutti sperarono che la campana suonasse solo per Craxi. E le cose andarono diversamente”.
Il ritorno di un’offensiva giudiziaria contro molti potenti e perfino sulla scrivania del tesoriere di un partito che ha condotto numerosi governi, compresi gli ultimi due — renziani e post-renziani — che quindi sulla rottamazione del “vecchio” avevano puntato molto, ripropone quel j’accuse di un quarto di secolo fa. Se tutta la politica ha bisogno di finanziamenti illeciti, esiste una politica che non sia corrotta?
Qualcosa il nuovo governo, cosiddetto “del cambiamento”, lo sta facendo, o almeno tentando: per esempio, per quanto riguarda i lavori pubblici, l’autorizzazione in arrivo all'”agente provocatore” e l’introduzione del “daspo” per i corruttori potrebbero far fare un salto di qualità proprio a ciò che è più mancato, da Tangentopoli in poi, cioè la prevenzione delle devianze. In più, proprio ieri, il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Riccardo Fraccaro, uscendo da Palazzo Chigi dove si è tenuto un vertice di governo sulla manovra economica, ha detto che “nel ddl anticorruzione faremo le norme sulla trasparenza delle fondazioni”, alludendo alle fondazioni politiche, costituite praticamente da tutti i leader a latere dei partiti veri e propri.
Resta, però, il trauma di vedere come sia arrivata direttamente al vertice del Pd un’inchiesta così inquietante e come si possa continuare a fingere che i partiti vivano d’aria e di volontariato. Una Repubblica fondata sull’ipocrisia.