Il governo mantiene un consenso attorno al 50%, mentre la Lega, stimata al 31,2%, e i 5 Stelle, risaliti al 29,5%, tornano a crescere. Oggi sono quasi appaiati nei consensi, perché “entrambe – osserva Carlo Buttaroni, presidente dell’istituto di sondaggi Tecnè – in questi tempi di manovra 2019 in cantiere, hanno di nuovo issato le loro bandiere, soprattutto quota 100 per le pensioni e reddito di cittadinanza. Ma se sul primo punto Salvini porterà a casa un risultato pieno, sul reddito di cittadinanza Di Maio vedrà ridimensionato il progetto iniziale. E questo darà nuovo vantaggio competitivo alla Lega, che ha ancora ampi margini di crescita”. E Forza Italia? “Oggi la stimiamo attorno all’11%, senza eccessive flessioni rispetto ai risultati delle politiche”. Il Pd, invece, non riesce a risalire la china e difficilmente “vedremo un centrosinistra come lo abbiamo conosciuto finora, anche se i dem dovessero ritrovare una fisionomia e un leader in tempi brevi: troppi feriti e troppe ferite da rimarginare”.



Il governo è impegnato nella delicata partita della legge di Bilancio. Questo passaggio quanto sta incidendo sugli indici di gradimento?

Il livello è molto alto, ancora attorno al 50% di persone che manifestano fiducia verso il governo. Ovviamente siamo in una fase in cui la manovra deve trovare la sua configurazione. Per ora si sta ragionando sui saldi, poi si dovranno vedere i contenuti. Tenendo presente che ancora non abbiamo idee precise neppure sui saldi. Da una parte, c’è il ministro Tria che punta all’1,6% di deficit; dall’altra, Salvini e Di Maio che spingono per salire fino al 2% e oltre. Ed è chiaro che le due prospettive cambiano molto.



Il ministro Tria, assurto in questi giorni al ruolo di guardiano della sostenibilità dei conti pubblici italiani, che popolarità raccoglie?

La conoscenza del ministro è ancora troppo bassa, impossibile paragonarla a quelle, altissime, di Di Maio e Salvini. Tria è un professore, esposto al grande pubblico da troppo poco tempo. Oltre tutto ha impiegato questi mesi rinchiuso a fare i conti. In questo momento i numeri non sono ancora affidabili. Tutto, però, cambierà con la presentazione della legge di Bilancio.

Stiamo sulla manovra 2019 in cantiere. Tre sono le misure di cui si parla di più: reddito di cittadinanza, flat tax e quota 100 per le pensioni. Qual è la più gradita agli italiani?



Sicuramente quota 100. Le pensioni sono di gran lunga il provvedimento preferito. Ed è un gradimento distribuito su tutto il territorio italiano, mentre la flat tax continua a raccogliere consensi più al Nord e il reddito di cittadinanza più al Sud.

Tra Lega e M5s è in atto un braccio di ferro su quali misure siano da inserire nella manovra. Queste frizioni hanno riflessi sul loro gradimento presso gli elettori?

La Lega è stimata al 31,2% e il M5s al 29,5%. Entrambi hanno ricominciato a crescere, compresi i 5 Stelle, che negli ultimi tempi avevano subìto una flessione a causa del protagonismo di Salvini. Quindi la coalizione di governo viaggia ancora al 60% circa di consensi. Ma c’è una riflessione da fare.

Quale?

In questo momento credo che sia il primo governo nella storia della Repubblica in cui le forze di maggioranza hanno entrambe pesi quasi simili. Negli esecutivi precedenti abbiamo sempre avuto la presenza di un partito guida, di un socio di maggioranza assoluta.

Il trend in risalita da cosa dipende?

Entrambi hanno rialzato le rispettive bandiere. Ma la Lega conserva una marcia in più, perché sull’immigrazione ha messo in campo dei fatti giudicati molto favorevolmente dagli italiani. Ora, in tempi di manovra, reddito di cittadinanza e pensioni sono i vessilli dei due partner di governo e gli italiani credono che verranno portati a casa dei risultati. Con una differenza, però: sulle pensioni l’obiettivo dovrebbe dispiegarsi completamente, con quota 100 e 62 anni di età, una misura molto apprezzata dagli italiani, mentre il reddito di cittadinanza uscirà ridimensionato rispetto al progetto originario.

E questo avrà impatti sui due partiti?

Sì, darà un vantaggio competitivo alla Lega, che ha ancora grandi spazi di crescita.

Intanto sembra che sia rinato il centrodestra. Quanto appeal ha?

Il centrodestra non è mai morto. Sono anni che nelle amministrative si presenta unito, senza sbavature, compatto e le vince. Più che rinascita, direi che si sono reincontrati e rimessi in campo. Hanno avuto dei disallineamenti – come adesso, dove il partito di maggioranza relativa della coalizione è al governo con gli oppositori tradizionali -, ma la convergenza politica non è mai venuta meno. Lega e Forza Italia governano in tante amministrazioni, difficile che si creasse una rottura vera e propria. E il centrodestra è cresciuto molto nei consensi rispetto alle elezioni del 4 marzo, soprattutto grazie alla Lega.

Per questo Forza Italia soffre?

Il partito di Berlusconi risente di questa dinamica: oggi è stimato all’11% rispetto al 14% delle politiche, ma non è mai sceso troppo. L’espansione della Lega è avvenuta in parte pescando proprio all’interno di Forza Italia e di Fratelli d’Italia, ma il grosso del suo bacino elettorale, quel 14-15% in più rispetto alle politiche, Salvini lo ha trovato soprattutto fuori dalla coalizione. In parte erodendo i consensi dei 5 Stelle, ma il più lo ha recuperato dall’area del non voto caratterizzata da un forte risentimento verso i partiti tradizionali. E un po’ ha recuperato voti anche a sinistra.

Il Pd è sempre in caduta?

Sicuramente è sotto il dato delle politiche, lo stimiamo attorno al 17%. Ma ormai è un voto più di testimonianza.

Perché?

Perché manca un’offerta politica vera e propria. Il centrosinistra come l’abbiamo conosciuto è difficile che riesca a riorganizzarsi in tempi brevi, anche se il Pd dovesse ritrovare una sua fisionomia a breve, facendo un congresso e trovando un nuovo leader e nuovi assetti. Sul campo sono rimasti molti feriti e molte ferite da rimarginare. È stato un processo devastante.

Le sinistre sono in difficoltà ovunque…

Guardi, a lungo si è discusso sul fatto che la fine delle ideologie abbia portato alla fine del voto di classe, cioè alla corrispondenza tra collocazione socio-economica e collocazione politica. Invece i voti a Lega e M5s ci dicono proprio il contrario: il voto di classe è tornato prepotentemente alla ribalta.

Da cosa lo intuisce?

Basta guardare i profili delle basi elettorali dei due partiti. Entrambi rappresentano la grande area degli sconfitti della globalizzazione, della crisi economica e delle politiche restrittive conseguenti alla crisi. Sono il ceto medio che si è impoverito, i lavoratori poveri, i disoccupati, i precari, i piccoli imprenditori che fanno fatica ad avere accesso al credito. Negli ultimi dieci anni la crisi ha ampliato le diseguaglianze e ha fatto impoverire velocemente una quota di ceto medio e di lavoratori che prima invece costituivano l’asse portante del nostro sistema economico. Queste classi sociali oggi si rivolgono a Salvini o a Di Maio. Sono il bacino portante del consenso per Lega e 5 Stelle.

Quindi Salvini e Di Maio sulla crescita, sulla ripresa economica si giocano molto?

Assolutamente sì. La crisi della sinistra nasce dall’aver fatto politiche economiche in cui non c’erano spazi di ristoro per i ceti che si stavano impoverendo. E a questo dobbiamo aggiungere l’immigrazione.

In che senso?

La questione migratoria ha pesato di più proprio in quelle aree in cui la crisi si è sentita di più. Il numero di immigrati in Italia rispetto alla popolazione, pari all’8%, è un numero gestibile, ma il problema è dove si concentrano. Nelle aree ricche e nelle zone abbienti delle aree metropolitane la concentrazione è bassa; nelle periferie urbane e nelle aree dove già si vive un forte disagio si registrano invece dei picchi di concentrazione, ben oltre una media tollerabile. Dunque, se al disagio si somma la pressione migratoria che porta altro disagio, in quelle che erano aree tradizionali di voto per la sinistra, lì la Lega e M5s hanno sfondato. Perché la gente si è sentita abbandonata dalla sinistra. E la questione migratoria non è legata solo al tema sicurezza, non è un tema di destra, perché se si guarda al fenomeno dal punto di vista del disagio socio-economico, allentare la tensione e la pressione nelle aree di disagio è una classica politica di sinistra.

(Marco Biscella)