A prima vista il preannuncio di Silvio Berlusconi di una sua candidatura alle elezioni europee del prossimo mese di maggio potrebbe sembrare un atto ostile nei confronti di Matteo Salvini. Ma non è detto che sia necessariamente così. Sembra piuttosto la mossa quasi disperata di un vecchio leader perfettamente conscio che solo la presenza del proprio nome come capolista può garantire la sopravvivenza della sua malconcia creatura. Schiacciata dalla Lega, Forza Italia è ai minimi storici nei sondaggi, quella di Berlusconi di nuovo in campo sembra l’unica opzione praticabile.
Del resto, il sistema proporzionale con cui si vota per le europee favorisce quella che si presenta come una battaglia per la sopravvivenza politica, tutta puntata sull’identità e il marchio un po’ appannato del fondatore. Non sono molte le opzioni sul tavolo di Arcore: o tenere aperti i canali di dialogo con la Lega, oppure sperare in un improbabile (ad oggi) governo di solidarietà nazionale nel caso in cui la bicicletta gialloverde dovesse forare.
A differenza di chi nel suo partito è sospettoso rispetto all’esuberanza salviniana, Berlusconi sembra fare professione di sano realismo politico, ed è tornato a sedere allo stesso tavolo con il leader della Lega e Giorgia Meloni. Non si sono mai amati l’ex Cavaliere e Salvini, le cene del lunedì con Bossi erano ben più calorose. In più Berlusconi non è abituato a recitare nel ruolo di partner di minoranza della coalizione di centrodestra. Ma se non si fosse rimesso a tessere la tela dell’alleanza moderata, il partito azzurro sarebbe stato condannato all’irrilevanza nella battaglia per le elezioni regionali e comunali prossime venture, cosa che avrebbe potuto innescare una fuga di massa. Un’emorragia che sinora non si è verificata esclusivamente perché le porte della Lega sono rimaste ermeticamente chiuse. E questo nonostante il parere contrario (e antileghista) di un pezzo dello stato maggiore azzurro, che trova il suo portavoce in Antonio Tajani e l’ideologo in Gianni Letta.
Non si può rischiare, visto che le elezioni potrebbero essere più vicine di quanto non si possa immaginare. Forse Matteo Salvini non ha ancora deciso, ma l’ipotesi che il quadro politico finisca in crisi a fine anno non si può scartare del tutto. Rafforza questa tesi la banale considerazione che una clamorosa affermazione leghista il 26 maggio alle europee (tipo la consacrazione come primo partito, come si vede nei sondaggi) sarebbe sterile, come il 41 per cento di Renzi, perché non sarebbe un risultato politicamente spendibile: d’estate non si può votare (Salvini ha molto temuto la minaccia di Mattarella durante la crisi di governo), e in autunno non si è mai fatto, perché si rischia l’esercizio provvisorio.
Se volesse davvero monetizzare questa fase estremamente favorevole, che vede il vento del consenso gonfiare le vele del vascello leghista, Salvini potrebbe decidere di ribaltare lo schema, e tentare un uno-due in grado di stendere al tappeto tutti gli avversari politici. Potrebbe cioè considerare finita l’esperienza di governo con i 5 Stelle (magari trovando una qualche scusa per addossare le responsabilità ai grillini, ce ne sono a bizzeffe), provocare elezioni a inizio marzo, e vincerle, insieme a Berlusconi e Meloni. Da premier del centrodestra poi, sarebbe nella posizione più favorevole per fare il bis alle europee, dando un contributo a disegnare i nuovi equilibri nell’assemblea di Strasburgo.
Fantapolitica? Non tanto, se si pensa all’elevatissimo grado di litigiosità dentro l’attuale esecutivo, la difficoltà di varare qualunque provvedimento, e la distanza siderale fra le richieste leghiste (flat tax e revisione della legge Fornero) e quelle pentastellate (il redito di cittadinanza). Sarà l’andamento della sessione di bilancio a dire una parola definitiva sulla vitalità del governo Conte, oggi è troppo presto per sapere come potranno andare le cose. Ma un dubbio è bene conservarlo.