Chi comanda l’Italia? Risposta: più nessuno, ovvero più nessuno rispetto a ciò che accadeva un tempo. Ci fu il tempo della spallata atlantica di Tangentopoli, un po’ quello che accade oggi in Brasile con la Operação Lava Yato (operazione Autolavaggio, ndr) a cui seguì poi l’ondata delle privatizzazioni patrocinate già negli anni Ottanta dal divorzio Banca d’Italia-Tesoro ed effettuate così malamente proprio per dimostrare che non c’è borghesia vendidora e politici eletti dal popolo in grado di eguagliare quella classe sublime nella spoliazione sistematica dei popoli che è l’aristocrazia nella sua grandezza efferata che non si può che rimpiangere ma solo per quella differenza che c’è tra Wagner e Verdi, tra l’Armagnac e la grappa, tra una cravatta di Finollo e una di Wall Mart (modello Trump). 



Un tempo si comandava con geometria variabile tra grandi famiglie che avevano come istitutore modello-Erasmo il grande Cuccia, industrie di Stato che producevano grandissimi manager ma un plusvalore politico di potenza quasi nulla (si veda per convincersene il patto ascoso che comandava Mediobanca e non diciamo di più) e i capi della polizia e dei servizi segreti, i segretari dei partiti che dovevano garantire alla geometria variabile una legittimazione che le logge massoniche non potevano garantire, occupate com’erano a produrre plusvalore di potenza esoterico che, pur se sempre in contrasto tra Rosacroce, transalpine, bavarese e renane e ahimè ciociare e chiantigiane, allocava i propri adepti nei pori del potere economico politico. Su tutto vegliavano due potenze straniere dominanti: il Vaticano e gli Usa, in costante disaccordo tra di loro così da consentire agli attori del piano di sotto di fare a’ muina



Naturalmente, vista la dimensione mediterranea dell’italica nazione, sia in Libia che in Egitto in primis eran costanti le scorribande franco-inglesi e arabo-terroristiche, tra la persecuzione contro Craxi e Andreotti sino all’eliminazione di Gheddafi e alle mirate ondate migratorie che essa ha provocato. Dall’inizio del secondo millennio in poi tutto muta: non più grandi imprese, non più grandi famiglie e quelle poche rimaste, di imprese, sottoposte all’attacco predatorio di quelle potenze che da tanto tempo erano in Italia e che di fatto l’avevano costruita nelle sue origini risorgimentali. Il tutto con sempre la presenza attiva dei due Stati stranieri prima ricordati, ma frammischiata a una coltre ben più intrusiva a ragnatela di poteri di pilotaggio automatici: la tecnocrazia europea a dominazione teutonica di cui prima accennammo, con una sua fede escatologica ed esoterica. 



Che non è solo quella dell’ordoliberismo, ma è ben più potente e drammatica. Chi volesse prenderne visione (io lo ho fatto sull’indicazione di un giovane amico che ha la stoffa di maestro quale il professor Alessandro Mangia, costituzionalista di razza e insigne studioso del grande Ernst Forsthoff, tra l’altro) guardi la cerimonia dell’inaugurazione del traforo del Gottardo e vi troverà le cupe devozioni, le austere angosce da debito che via via hanno sostituito sulle bandiere dell’Europa quelle stelle mariane che ne asseveravano la cristiana civiltà per sostituire gradualmente a essa quella di un mondo giansenista, dove la grazia è di pochissimi e tutti son colpevoli: di debiti e di anelito alla vita. 

Oggi al posto delle grandi imprese vi sono piccole imprese, meravigliose, prodigiose come vitalità economica ma prive di rappresentanza politica capace di visione di lungo respiro, non solo amministrativo, e  soprattutto son rappresentate da burocrazie — e qui veniamo al punto — che dipendono non da esse (il che è paradossale) ma da quel sostituto tecnocratico europeo dell’aristocrazia che inserisce i piloti automatici, fino a fare e disfare i governi che dovrebbero essere non solo eletti dai popoli ma ad essi rispondere. 

Invece, in quest’Europa senza costituzione, ma solo con brandelli di risoluzioni delle corti costituzionali nazionali, spesso l’una contro l’altra armate, la legittimazione, il potere tutto democratico della legittimazione popolare è scomparso. Infatti si stan liquefacendo i partiti. Si veda il travaglio, il marasma in cui son caduti Forza Italia e le unioni di centro varie e composite. E mentre questi decadono, il partito esoterico liofilizzato che vien fuori dalla terra rara che nasce al confine fra nazione e internazionalizzazione grazie alla cyber tecnologie cresce a dismisura. L’attuale governo, questa peristaltica mescolanza in cui non si riesce a fare amalgami nel così breve tempo in cui si è formato, contiene in sé una scheggia dei partiti tradizionali, la Lega, che avrebbe l’occasione di trasformare da potenza in atto quella forza storica profonda che l’ha generata, di cui i suoi capi storici non san prendere coscienza: essere quel partito della borghesia che l’Italia non ha mai avuto, con le sue piccole imprese e operai, con i suoi diritti e con i suoi doveri, partito dei produttori che deve guardare oltre al tranello che potenze ostili hanno ingenerato in Italia attraverso le ondate immigratorie scatenate contro il paese, governandole con quella durezza che è solo istituzionale, mentre si mette al primo posto la salvezza di quella borghesia e di quei produttori che sta solo nella rinegoziazione dei trattati europei e nel dire alto e forte che nel Trattato di Maastricht non si parla di debito ma di crescita e che i vincoli del debito sono scritti solo nei regolamenti e quindi non fan obbligo, come insegna il grande Guarino. 

A fianco dell’incompiuto partito sta la miscela peristaltica del popolo degli abissi che ora non colora più di ribellione antieuropea la sua miscela ma si divide sull’obbedienza o meno alla terza componente del governo e a quella che è, con la magistratura, una delle due grandi vertebre che rimangono alla nazione: l’oligarchia vendidora che adora gli dèi del Gottardo e crede nella religione dell’austerità, che tifa per il default, che già allena e presenta sulla scena mass mediatica gli attori del governo che vorrebbe. Una agnizione che se ci sarà non farà che appoggiarsi ai ministri di quest’oligarchia filo-austerità che già compongono il governo in posizione quasi dominante. 

L’aver perduto quel partito in potenza della borghesia dei produttori la consapevolezza del suo storico destino sta lasciando a codesta oligarchia un potere immenso. Immenso perché è quello del vuoto, quel vuoto che veramente fa paura ai mercati che han nome, cognome e soprannome e che infatti lo temono ben più del debito. Una storia, quella di chi comanda in Italia, che è così la storia di quale Italia si comandi, a vantaggio di chi e perché.

(2 – fine)