È caduto il muro di Bruxelles e non è stata una catastrofe. Le divisioni nel governo su cui tutta la stampa mainstream scommetteva non si sono verificate e il duetto Tria-Savona ha prodotto iniziative eccellenti come il Gabinetto di controllo degli investimenti e una tabella di marcia degli stessi per convincere gli investitori istituzionali che la ripresa ha finalmente le gambe per correre. È questo che gli investitori si attendono. I regolamenti di Bruxelles con le loro percentuali che fanno tutti terrorizzare o gioire sono una tigre di carta: non hanno neppure un valore di legge, sono regolamenti. Ciò che conta è la solvibilità del debito mentre la ripresa si avvia. Lo spread aumenterà, ma sempre a livelli sostenibili e le borse supereranno lo shock. 



Certo, uno Stato fondato, come scriveva Otto Hintze, su un popolo come unità di destino aiuterebbe: invece la borghesia vendidora rema contro, ma se il Governo non si divide e non si dividerà perché si è passati dal contratto a un accordo politico, anche i quisling saranno sconfitti e forse un barlume di unità nazionale inizierà benevolmente a inverarsi. Certo, occorre che si realizzi quella consapevolezza che si potrà avere uno straordinario successo se coloro che sono i protagonisti e i destinatari di questa vera rivoluzione culturale comprendessero che devono trarne benefici tanto di breve quanto di lungo periodo.



Se mi si permette questo ambizioso paragone, ciò che deve proporsi il Governo oggi in carica è una sorta di riforma luterana, che abbia per oggetto non più la cristianità, e di questo siamo felici, ma l’Europa come si è via via formata dopo l’unificazione monetaria e l’insieme di trattati che ne costituiscono l’ordito. Prima dei trattati occorre riformare i regolamenti che non hanno nessun valore legale, come ci ha insegnato Giuseppe Guarino, ma che costituiscono, tuttavia, una consuetudine che ha valore compulsivo in base ai rapporti di potenza che legano gli Stati che fanno parte e fondano, insieme, le istituzioni europee.



Ebbene, guai se questo slancio riformatore fosse pensato come evento possibile solo in base ai benefici immediati che possono derivare nella battaglia elettorale prossima o lontana. Al popolo italiano e agli altri popoli europei che volessero seguirne l’esempio riformatore vanno offerti con lungimiranza e decisione da statista i benefici futuri, di lunga durata. Quelli che fondano una nuova agenda della politica economica europea. Naturalmente questo implica impostare una profonda riforma della comunicazione politica dove a far premio nel rapporto con gli elettori è il messaggio per cui ciò che conta è ottenere nel lungo periodo beni comuni come l’occupazione, l’aumento del reddito alle famiglie e il profitto delle imprese in una condizione di stabilità dei rapporti con i grandi investitori istituzionali e coloro che devono rendere solvibile e quindi sostenibile il nostro debito pubblico. 

È ciò che fanno da anni i francesi, che non discutono nella politica nazionale di indicatori numerici, ma propongono misure di riforma anche profondissime rispetto ai tetti di deficit e di debito europei (si pensi a quella sorta di reddito di cittadinanza proposto da un Macron ammaccato, ma ancora più che mai determinato nel perseguire quell’obbiettivo contestualmente a una riforma fiscale di grande portata). Ma non le si presentano codeste riforme come sfida ai tetti imposti dalla tecnocrazia europea, ma come rispetto del patto stipulato con l’elettorato. Patto che viene prima di ogni potere automatico tecnocratico europeo e che come tale va rispettato sempre, mentre i piloti automatici possono essere sostituiti dal pilota manuale quante più volte è possibile. 

Mi si dirà che questo è il frutto del minor debito pubblico della Francia. Un ragionamento utile, ma che da solo non tiene: quella determinazione politica (politica e non agitazione e propaganda) è il frutto, piuttosto, del fatto che la Francia è una potenza nucleare (l’ultima rimasta in Europa dopo la Brexit) e del fatto che i francesi da sempre contendono ai tedeschi il primato negli equilibri di potenza europei. L’Italia, che non ha l’atomica, ma l’alleanza strategica di lungo periodo con gli Usa quale sia il presidente, deve agire negoziando e agendo con i fatti senza impensierire i grandi investitori che sorreggono il nostro debito, abbandonando la logica dei benefici politici immediati per perseguire i benefici futuri, ossia quelli che ci daranno la possibilità di poter cambiare i regolamenti europei e poi i trattati. 

E si fa questo non con la guerra delle cifre, ma negoziando per ottenere la realizzazione dello scorporo dal calcolo dei debito delle spese per investimenti, per l’instaurazione di una nuova logica dei finanziamenti attraverso la mutualizzazione dei medesimi seguendo la logica degli Eurobond su cui Romano Prodi e Alberto Quadrio Curzio fecero proposte dimenticate e che vanno invece riproposte all’attenzione pubblica, superando steccati politici e realizzando convergenze tra tutti i partiti sull’obbiettivo fondamentale che è quello della riforma profonda delle regole europee, superando così le stupide e non sostenibili regole dell’austerità. 

Sta giungendo, com’è nella ciclicità della deflazione secolare da ordoliberismus, una nuova onda negativa che abbasserà ancor più i tassi — già bassissimi — della crescita europea. Solo gli Usa continueranno a crescere, proprio perché non hanno perseguito politiche economiche come quelle europee che sono le peggiori del mondo. Ma per cambiarle occorre pazienza, perseveranza, alleanze ampie sia con gli operatori dei mercati, sia tra le nazioni europee in un lungo e incessante lavoro di tessitura. Le grida di manzoniana memoria non solo sono inutili, ma dannose, perché pongono in pericolo la stabilità governativa. Il bene più prezioso su cui l’Italia di oggi può contare per rifondare la sua politica economica e riprendere il cammino della crescita. Per far questo occorre pazienza. E la pazienza è la vera virtù dei rivoluzionari.