A 36 ore dal varo del Def, dopo averci dormito sopra due notti e a Borsa abbondantemente chiusa, Sergio Mattarella ha detto la sua sulla prossima legge di bilancio. Non poteva che essere una stroncatura, com’era naturale attendersi dall’inquilino del Quirinale che già in primavera, quando bloccò la nomina di Paolo Savona al ministero dell’Economia, aveva ricordato il proprio ruolo di garante della Costituzione e dei risparmi dei cittadini. I toni usati ieri per tirare le orecchie al governo hanno riecheggiato quelli di maggio che portarono al brevissimo incarico a Carlo Cottarelli.



Ma oggi la situazione è completamente ribaltata rispetto a qualche mese fa e la “moral suasion” del Colle appare in tutta la sua sterilità, perché Di Maio e Salvini non possono fare marcia indietro. E non la faranno, dopo essersi affacciati ai balconi del potere rivendicando la loro rivoluzionaria “manovra del popolo” che già i primi sondaggi indicano come gradita al 56 per cento degli italiani: una quota che riflette il consenso del governo gialloverde.



Le reazioni alle parole di Mattarella, che ha invitato a rispettare i vincoli di bilancio imposti non da Bruxelles ma dalla Costituzione sulla quale i ministri hanno giurato, sono fin troppo eloquenti: il giovane Di Maio ha trattato il capo dello Stato come uno zio brontolone che si preoccupa troppo, mentre il truce Salvini ha detto semplicemente che lui se ne frega. I due tireranno dritto perché il gioco si è fatto duro e le armi in mano ai loro avversari sono tutte spuntate. Tria ha minacciato le dimissioni e ha dovuto rimangiarsele. Moscovici ha annunciato sanzioni che non imporrà. Mattarella ammonisce e viene sbeffeggiato. Va notato un silenzio sconcertante, quello del presidente del Consiglio che non ha scatti di orgoglio nemmeno quando il Colle si fa sentire. E una voce inaspettata è andata in soccorso della parte leghista della maggioranza, quella del presidente di Confindustria Boccia, tutt’altro che perplesso dal taglio delle tasse per le imprese.



Mattarella, che pure aveva fatto di tutto in primavera per favorire la nascita di questo governo in quanto appariva l’unico argine all’ingovernabilità, pensava di essere riuscito a mantenere un po’ di voce in capitolo. Credeva che avere spostato Savona in un ministero senza portafoglio e avere piazzato un tecnico come Tria gli consentissero di essere ascoltato dall’esecutivo. Invece no. I due vicepremier fanno e disfano a loro piacere. Non ci sono opposizioni, non esistono alternative pronte al governo gialloverde, non c’è un presidente del Consiglio in grado di ritagliarsi un ruolo superiore a quello di passacarte, non c’è un ministro dell’Economia con l’autorevolezza di rappresentare le ragioni dei saldi di bilancio. Quindi avanti così perché nessuno ha la forza di fermare la coppia Salvini-Di Maio. Mattarella ripeterà i suoi appelli alla ragionevolezza e al rispetto delle leggi fondamentali dello Stato, ma si sgolerà invano: le esternazioni serviranno soltanto a mettere nero su bianco il suo dissenso a futura memoria.