“Sforare, o sfiorare: questo è il dilemma”, si potrebbe dire parafrasando Shakespeare. L’oscuro oggetto del desiderio è il 3% del rapporto deficit/Pil da un decennio almeno croce e delizia dei governanti dell’area euro, e di quelli italiani in particolare. Il gioco di parole è copyright del vicepremier Matteo Salvini, ma rende subito l’idea della posta in gioco nel braccio di ferro d’autunno che è solo agli inizi. Ogni previsione su come questa partita possa evolvere è ad oggi azzardato: prevarrà il desiderio di mantenere promesse al limite dell’impossibile (flat tax, reddito di cittadinanza e superamento della Legge Fornero tutti insieme), infischiandosi dei limiti europei, oppure avrà la meglio il timore di spaventare i mercati, e quindi l’Italia gialloverde si atterrà ai limiti massimi di flessibilità previsti dall’Europa?



Al Quirinale da tempo è scattato l’allarme rosso. Il presidente Mattarella è perfettamente conscio che in autunno si giocherà una battaglia decisiva per le sorti dell’esecutivo guidato dal debole premier Giuseppe Conte. Sa che la discussione della legge di bilancio ha tutti gli elementi per trasformarsi in un estenuante braccio di ferro fra i due soci della compagine governativa, ciascuno teso a cercare più risorse per far prevalere le proprie priorità.



Il dilemma in cui l’entourage presidenziale si dibatte nelle ultime settimane è trovare il modo per mantenere la situazione sotto controllo, senza apparire per questo schierato a favore di uno dei due contendenti, Di Maio da una parte e Salvini dall’altra. I nervi saldi di Mattarella si sono visti nell’ultimo caso in tema d’immigrazione, il destino dei 150 migranti bloccati per giorni a bordo di una nave militare italiana, la Diciotti della Guardia costiera. Mattarella, scottato dalle polemiche seguite al suo primo intervento in un caso analogo, a metà luglio, si è guardato bene dal chiedere lo sbarco. Non voleva levare le castagne dal fuoco a Salvini, che aveva pure ventilato le proprie dimissioni: il Quirinale non voleva in alcun modo correre il rischio di essere additato come il responsabile di una crisi di governo.



Non è detto che questa posizione di vigilanza immobile possa continuare ancora a lungo, specie se durante la sessione di bilancio si dovessero profilare all’orizzonte forzature inaccettabili, almeno a giudizio del Quirinale. Le armi per intervenire sono per di più previste dalla stessa Costituzione. Forse non tutti hanno presente che, accanto all’obbligo di copertura per ogni nuova spesa, nel 2012 è stato inserito nell’articolo 81 anche il principio dell’equilibrio fra le entrare e le spese. Si tratta di un’arma potente, ma sinora mai utilizzata dagli inquilini del Quirinale, forse perché non ce n’è stata mai la necessità. Ma è proprio al principio dell’equilibrio di bilancio che il Capo dello Stato può appellarsi nel corso della sua moral suasion tesa a impedire che il governo porti il treno Italia a deragliare. L’avvertimento venuto dall’agenzia di rating internazionale Fitch, che ha parlato di prospettive in peggioramento per il debito pubblico italiano è lì a dimostrare che l’intervento del Quirinale potrebbe diventare presto inevitabile per scongiurare il peggio.

Sinora i segnali negativi dell’asse Salvini-Di Maio sono stati controbilanciati dal gioco di squadra a tre fra il Quirinale, il ministro dell’Economia Tria, e il governatore della Bce Draghi, abbastanza in disparte, ma in realtà assai influente. Sulla barricata opposta c’è la smania dei due vicepremier di non deludere il proprio elettorato. Mattarella si augura di non dover intervenire, ma si tiene pronto a farlo in qualunque momento. Del resto, non gli sono chiare le intenzioni dei principali attori della scena politica. Fari puntati soprattutto su Salvini, che viaggia con il vento in poppa di sondaggi clamorosi (32% secondo Swg, cinque punti in più dei grillini), ma che ha anche sulla testa la spada di Damocle dei 49 milioni di euro che la magistratura vorrebbe che la Lega restituisse. Al Quirinale da sempre ogni ipotesi di elezioni anticipate viene vista come il fumo negli occhi. Ma è chiaro che in questo momento è Salvini che in teoria potrebbe azzardare una forzatura verso il voto a inizio 2019. In mezzo, però, c’è una legge di bilancio in cui il leader leghista deve dare un segnale sulla riduzione delle tasse. Una fetta rilevante del suo elettorato non capirebbe se nulla accadesse su questo fronte. Il Quirinale si prepara a un autunno davvero caldo.