Il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, si congederà il prossimo anno con una riforma degna della sua ormai acclarata e totale incapacità di statista e di politico: la stabilizzazione dell’ora legale o la sua cancellazione. Il dibattito sull’esatta formulazione è aperto. Questa “grande riforma” sembra una parodia nata dal grande romanzo scritto da Robert Musil, L’uomo senza qualità, dove nel grande regno di Kakania si chiudeva un’epoca, un periodo storico alimentato da sogni grandiosi e banali e segnato da una fine drammatica. Se non vogliamo leggere Musil, sfogliamo I sonnambuli, che ha contrassegnato il titolo di diversi libri di studiosi degli anni Trenta del secolo scorso.



Mai come in questo periodo, il sogno di una autentica unità europea o quanto meno di una Comunità europea sta vacillando sotto i colpi, da un lato, dei cosiddetti “sovranisti” e “populisti”, ma, dall’altro, da coloro che li hanno indirettamente e inconsapevolmente creati: i tecnocrati miopi e supponenti, gli ordoliberisti del menga e i neoliberisti antikeynesiani di Bruxelles e dintorni, la classe politica più imbecille del nuovo secolo e probabilmente del nuovo millennio.



Anche la speranza, coltivata pure nella disastrata sinistra italiana ed europea, interpretata da Emmanuel Macron sta franando. Macron sta raggiungendo l’ex presidente socialista François Hollande nell’antipatia popolare francese. La sua credibilità è crollata, secondo gli ultimi sondaggi, di altri dieci punti. A Parigi ci sono ministri che si dimettono. Le proposte di Macron per il rilancio dell’Europa (ricordate il ministro unico delle Finanze?) non sono state nemmeno prese in considerazione dalla Germania, dalla stessa Angela Merkel, con la quale si sarebbe dovuto rinsaldare l’asse storico franco-tedesco. In più, il giovane che ha studiato all’Ena si è infilato, secondo tradizione francese, negli affari africani in modo maldestro, truffaldino come con il famoso Franco Cfa (un’usura vergognosa), e in questo momento, soprattutto, nella polveriera libica. Sta giocando un derby, Macron (oltre a trovarsi di fronte a diverse questioni che sfuggono a tutti), tra la sua Total e l’Eni sopra la pelle di tutti per un interesse nazionale di basso livello. Il giovane presidente francese dimostra un rispetto per le ragioni umane e politiche dei popoli africani e dei migranti che fa paura. Se Victor Hugo chiamava Napoleone III “Napoleone il piccolo”, oggi, di fronte alle bravate di Macron, il grande scrittore dovrebbe scomodare una nuova immagine, “Napoleone il nano”, dopo la grandeur sfoderata a suo tempo da Macron.



Tuttavia Macron appare come una comparsa di un “teatro globale” che è in subbuglio, in movimento continuo e di cui è difficile afferrare i passaggi e le mosse dei vari interpreti. Ed è impossibile immaginare lo sbocco finale.

Se l’Italia viene sculacciata da Fitch (sai che novità!), la stessa Germania deve fare i conti con alcuni problemi sia di carattere politico che di carattere finanziario. La cosiddetta locomotiva europea ha un sistema bancario disastrato su cui i “maestri” del rating dovrebbero esercitarsi con maggiore impegno. Ma ha soprattutto una situazione politica complicatissima. La Merkel non appare in risalita e i socialdemocratici sono pronti per la “Croce rossa”. Sta invece crescendo l’estrema destra e si sente scalpitare Die Linke, il partito di sinistra, che raccoglie gli scontenti della globalizzazione.

In Germania si sentono voci incredibili fino a qualche tempo fa. Sarebbe la Merkel stessa a creare un’alleanza più solida con Horst Seehofer, il ministro dell’Interno che interpreta gli umori bavaresi nel governo di Berlino. Sarebbe lo stesso Seehofer a mantenere un buon rapporto con l’ungherese Viktor Orbán e a lavorare per una coalizione di destra per la Germania e per la stessa Europa: mantenendo scrupolosamente Orbán nel Partito popolare europeo, inviandolo (udite, udite!) da Matteo Salvini perché scelga la destra e prepari la svolta europea che metterebbe i socialdemocratici all’opposizione.

Se le voci che si raccolgono sono giuste, anche Angela Merkel si è adoperata, telefonando prima a Silvio Berlusconi, perché suggerisca a Salvini una scelta nel Partito popolare. A sentire queste voci che si rincorrono e vengono riportate soprattutto dai giornali esteri (l’Italia arriva sempre dopo nell’informazione) sembra di vivere nel delirio, dopo tutto quello che si è sentito nella scomparsa della destra e della sinistra, nel duello finale tra “sovranisti” ed europeisti.

Forse il problema è meno schematico e più complicato. C’è la destra che vuole giocare un’ultima carta di salvezza per l’Europa, mettendo un freno e disarticolando i “sovranisti”, accettando alcune loro rivendicazioni. Dall’altra parte, c’è una, per ora, piccola autentica sinistra che sta rifiatando e pone i problemi delle diseguaglianze sociali: il francese Jean Luc Mélenchon, la Linke tedesca, forse anche Alexis Tsipras con la Grecia può rimettere fuori la testa. In mezzo ci sono i “sovranisti” a 24 carati e l’anti-sovranista Macron che gioca una partita tutta sua e che nessuno ha voglia di seguire.

Qual è in fondo la ragione di queste mosse? Da un anno anche a Bruxelles e a Berlino hanno capito che uno scontro secco alle prossime elezioni europee tra “sovranisti” ed europeisti sarebbe un disastro per questi ultimi. E sarebbe l’autentica fine dell’Europa, di qualsiasi Europa possibile, destinata a quel punto a diventare un promontorio dell’Asia. Secondo alcuni è meglio spezzare il fronte “sovranista”, disarticolarlo, facendo anche alcune concessioni e impegnandosi in una nuova politica economica e magari in una revisione dei trattati. Mossa rischiosa, azzardata, ma dettata dalla circostanze sempre più difficili. E nello stesso tempo collegarsi strettamente con Stati Uniti e Russia, in funzione anti-Cina, che sta investendo ovunque, anche in Europa, e cerca, a sua volta, un collegamento con la Gran Bretagna.

È un quadro complicatissimo che, per chi vive nel reale delirio italiano, tra governo e forze di opposizione di zombies, forse riesce a comprendere difficilmente, data la desuetudine a vivere intensamente la politica, che è andata in pensione con il 1992. Pensate che in quel periodo l’Italia era quasi la garante della stabilità del Medio Oriente. Fate un confronto con oggi, please!

In tutti i casi, fare un pronostico da qui alle europee per la situazione italiana è come scommettere al lotto: si può andare a votare tra un paio di mesi e si può trascinare con promesse e “il nulla” il governo di un Paese fino alle europee.

Ci sono pure, oltre alle manovre anche gli organigrammi. Al posto dell’alticcio Juncker, andrebbe il tedesco Manfred Weber, l’attuale capogruppo del Partito popolare europeo. In questo modo verrebbero respinte tutte le istanze innovatrici di Emmanuel Macron, che resterebbe con il cerino in mano. Forse qualcuno pensa anche a un ultimo sgarbo: dare la Bce alla Francia, ma a una gollista di antico rango, la signora del Fondo monetario internazionale Christine Lagarde. L’anti-sovranista di “sinistra” Macron sarebbe così servito, di barba e capelli. Mentre l’Italia sembra destinata a stare a guardare.

È comunque difficile immaginare un piano di questo tipo e pensare soprattutto che si realizzi completamente. Ma qualcuno ci sta pensando. La “trimurti” Conte, Salvini, Di Maio stia in campana. Chissà se qualcuno si muoverà con un minimo di raziocinio, non si pretendono visioni geniali. Gli oppositori della “trimurti”, in attesa di fare il grande congresso che “rifonda tutto” (prima o poi lo faranno), vivono su un altro pianeta e quindi appaiono del tutto inutili a qualsiasi piano e a qualsiasi gioco che vada oltre i confini di Imola, dove pure hanno perso le ultime elezioni. Devono convincere il loro vecchio elettorato che li ha abbandonati. È l’elettorato che è cresciuto un tempo nel mito di Lenin, poi è passato a Breznev, poi alla “questione morale”, poi a Di Pietro e Davigo, poi al neoliberismo. Diciamo che vive un poco in confusione…