Il “governo del cambiamento” ci ha preso gusto a governare. Ma si è accorto che per durare deve fare come insegnava Tomasi di Lampedusa nel “Gattopardo”: cambiare tutto per non cambiare nulla. La svolta è di questi giorni. Matteo Salvini ha ricevuto messaggi inequivocabili che l’hanno indotto alla sterzata. Uno per tutti: il tanto odiato spread. Se lo spread aumenta, i primi a lamentarsi sono i risparmiatori che vedono messi a rischio svalutazione i propri risparmi. E moltissimi risparmiatori votano Lega.



Così Salvini ha radunato lo stato maggiore leghista, compresi i “consigliori” economici più ascoltati, e ha dettato la correzione di rotta. Responsabilità. Segnali rassicuranti per i mercati. E ammorbidimento della linea dura contro l’Unione Europea. Questo è l’aspetto più innovativo rispetto al passato: la rottura con l’antieuropeismo simboleggiato dalla proposta di piazzare Paolo Savona al ministero dell’Economia.



Il governo mette una maschera più rassicurante. Preme l’acceleratore su un provvedimento, quello sulle pensioni che sarà inserito nella Legge di bilancio, ma tira il freno su riforma fiscale e flat tax, che pure era un cavallo di battaglia elettorale. Le promesse che hanno preceduto il 4 marzo vengono diluite, allungate nel tempo. Il manifesto della maggioranza gialloverde non è più la legge di bilancio, ma il Documento di economia e finanza (Def) che ha respiro triennale. L’Europa può stare tranquilla e gli investitori possono rilassarsi, e infatti lo spread ha già rallentato la sua corsa.



Il messaggio è chiaro: i legastellati non hanno intenzione di chiudere l’esperienza governativa tanto presto. Vogliono durare, almeno traguardare il triennio del Def. Il cambiamento sarà più morbido ma il potere sarà occupato in maniera più salda. I vincoli europei vengono sbeffeggiati a parole ma sostanzialmente rispettati nei fatti. E quando in primavera si voterà per il nuovo Parlamento europeo, la Lega potrebbe presentarsi con un maquillage adatto per tutti quegli euroscettici che non se la sentono di rompere del tutto con Bruxelles.

Un conto è la campagna elettorale, un conto governare il Paese. Anche Luigi Di Maio se ne è reso conto: con il suo eloquio neodemocristiano ha detto che la manovra “manterrà i conti in ordine ma sarà coraggiosa”. Sembra di sentire il Veltroni del “ma anche”. Cambiamento ma anche rispetto dei vincoli. Riforme ma senza sconvolgimenti. Ieri si è registrata un’altra marcia indietro pentastellata sui vaccini.

Di questo passo Salvini da un lato e 5 Stelle dall’altro riusciranno a conquistare anche i voti moderati, dopo quelli degli esasperati. E l’ultimo dei moderati, cioè Berlusconi nella “fase Tajani”, ne farà le spese. Salvini è tornato all’assalto del Cavaliere per strappare il suo assenso alla nomina di Marcello Foa alla presidenza Rai e il leader di Forza Italia, pur di difendere le sue concessioni televisive, potrebbe dare via libera. Sul piatto potrebbero finire anche le candidature per le amministrative di primavera. Berlusconi tace da settimane: le sue ultime parole sono state di solidarietà verso Salvini indagato. Evidentemente non è un caso.