Le parole di apertura del Forum Ambrosetti, a Villa d’Este a Cernobbio, sembrano tutte improntate a riconquistare un ottimismo che non pare tanto di moda. Gli scienziati giapponesi hanno fatto partecipare anche un umanoide, tra lo stupito entusiasmo dei partecipanti. 

Certamente le sale arredate come in un grande film di Luchino Visconti e l’incanto di quello che fu anche l’albergo di una regina d’Inghilterra, Carolina di Brunswick, la moglie di Giacomo IV, che ebbe un amorazzo con uno dei tanti nobili lombardi dal classico cognome Gonfalonieri, potrebbero essere la metafora delle “incantevoli dimenticanze” di Villa d’Este. Interrogata infatti dalla Camera dei Lord sul suo presunto flirt, Carolina rispose impassibile: “Non ricordo”.



Forse a Villa d’Este, come del resto avviene in altri consessi di quel tipo (pensate alle pistolate dette a Davos in questi anni), l’entusiasmo per la crescita mondiale calibrata sulla globalizzazione, fa sparire di colpo le disparità sociali allarmanti che si sono create, l’allargamento delle aree di povertà, la scomparsa del ceto medio, l’incertezza della crescita di alcuni Paesi europei, la precarietà del futuro per i giovani. Ogni tanto si pensa allo spread, ma è come addentare un panino al pollo con maionese durante una pausa dei dibattiti. 



Forse quando parlerà Matteo Salvini, qualcuno comincerà a storcere la bocca e a ricalarsi nella realtà della brutalità e dello schematismo leghista (certamente), ma contrapposto a un falso charme autoreferenziale dei “pensatori economici” di questa Europa che, in realtà, sembra completamente alle corde.

Facciamo una breve carrellata. La Francia dell’enfant prodige, Emmanuel Macron, pare in uno stato di concitazione permanente. Ma mentre a Parigi la gente per strada applaude ai ministri che si dimettono, i media italiani non hanno dato importanza neppure alle dimissioni del portavoce di Macron (poi rientrate, ma fino a quando?). Forse, in epoca di fake news, non si può azzerare in modo duro una simile speranza giovanile, con l’attempata ma conturbante Brigitte al braccio!



Anche in Germania le cose non vanno benissimo, come si vuole cocciutamente far credere. E’ ormai accertato che il sistema bancario-finanziario tedesco stia attraversando un periodo da brividi. Dicono che tutti sanno questa cosa, ma come mai non se ne parla? Come mai non si parla allarmati della grande Deutsche Bank? Non solo degradata dalle agenzie di rating, non solo multata e ammonita dagli americani, ma pure in uscita a fine mese dall’Euro-stoxx 50, vale a dire dal paniere dei titoli europei quotati a maggiore capitalizzazione. Non si parla delle Sparkasse, tutte statali e tutte cariche di debiti. Non si parla del Dax, l’indice di Borsa, che in questi giorni per la prima volta è andato sotto quota 12mila. Non si parla neppure della violazione del surplus commerciale. Vietato insistere, accipicchia!

Si parla invece insistentemente dell’Italia, dello spread italiano risalito in questi mesi e pericolosamente ondeggiante al rialzo. E si parla della finanziaria che metterà l’Italia a confronto con l’eurocrazia di Bruxelles, in un dibattito che appare un gioco degli specchi. 

Prima Di Maio e Salvini promettono sfracelli e un autentico sberleffo ai parametri europei. Poi avvengono manovre impensabili sull’asse Merkel, Seehofer, Orbán e Salvini (interpellato) fa marcia indietro, seguito subito da Di Maio e dall’incredibile Giuseppe Conte. Un coro: rispetteremo i vincoli dell’Unione Europea, anche se da Bruxelles continuano a tirare  le orecchie agli italiani.

I tre paesi fondatori sono in panne e nel momento in cui si discuterà del bilancio ne vedremo delle belle. Gli altri sono un contorno che non fa testo, se non per indicazione di scelta, di super-sondaggio. L’indicazione dell’espansione spagnola è quasi comica per la portata reale di quell’economia, così come lo sbandierato benessere portoghese: si tratta di due protettorati tedeschi intoccabili.

In realtà, tra dimenticanze volute, silenzi altrettanto voluti e “sparate” di stampo intimidatorio “nel nome del mercato”, si sta giocando una partita di infimo livello politico, il cui obiettivo è quello di mantenere una parvenza di Europa, una sorta di simulacro dopo gli errori compiuti in questi ultimi anni, gestiti soprattutto alla tedesca, all’insegna dell’austerità più ottusa e più indisponente. Saranno sempre i tedeschi a gestire, ma forse con un poco più di “intelligenza romana” (quella del vecchio impero di Augusto), cioè non crucca, oppure come dicono i francesi, “boche”.

Il problema vero è se, di fronte a tutte queste contraddizioni vissute e ripetute, si farà in tempo a salvare almeno il salvabile, cioè un Parlamento europeo con meno prosopopea, ma forse con qualche capacità di indicazione maggiore. E in più una Commissione non calata dal cielo e una Bce che cerchi di essere una banca per tutta l’Europa nel vero senso della parola: Draghi ha fatto quello che era possibile, Trichet ha compiuto delle ignominie storiche.

Quale sarà, a questo punto, il momento di svolta per comprendere se andrà in porto un salvataggio europeo e un tentativo di riforma credibile?

Probabilmente a novembre o ai primi di dicembre. Se ci sarà la cosiddetta bufera finanziaria (che in molti prevedono) provocata dai mercati, cioè da venticinque operatori mondiali che fanno tutto quello che vogliono, vorrà dire che non è stato raggiunto nessun accordo su una revisione dell’Europa, sul superamento del cosiddetto sovranismo in contrapposizione all’europeismo. Se ci si limiterà solo a criticarsi a vicenda, senza scomuniche di particolare virulenza, può darsi che l’intesa sottobanco venga raggiunta e il sovranismo venga disarticolato e riguadagnato, con riforme accettabili, a una visione europeistica.

L’abbiamo già scritto e lo ripetiamo: è un piano rischioso, che può essere travolto da un’ondata di protesta su scala europea molto vasta. Potremmo vederne il trend a partire da domenica persino con le elezioni svedesi.

Forse in questo momento, più che le dimenticanze e le sparate ottimistiche, ci vorrebbero analisi meno ideologiche con un ripensamento critico ormai lapalissiano: da quando il neoliberismo ha stravinto si è entrati in una delle crisi economiche più cupe della storia che non si è ancora risolta. E soprattutto questo “disordine mercatista” ha creato un’impopolarità che dapprima ha colpito la politica, ma oggi si sta allargando a tutta la classe dirigente di tanti paesi: dalla politica alla magistratura, dall’imprenditoria privata all’ottusità della burocrazia, dalla finanza ai manager che pensano di sostituire nelle imprese il ruolo fondamentale del lavoro umano.

E’ per questa ragione che alcune cose si nascondono. In questi trent’anni di ubriacatura del “denaro che fa il denaro” hanno perso tutti. Altro che ottimismo ambrosettiano.