Un’altra giornata di ordinario caos nel governo del cambiamento, provocato dalla gestione dei 49 profughi africani da giorni in mezzo al Mediterraneo. Nel momento in cui in Europa si trova un accordo per farli finalmente sbarcare a Malta per poi piazzarli un po’ qui un po’ là, con l’Italia impegnata a favorire la mediazione, ecco che la linea durissima di Matteo Salvini rimette tutto in discussione. Già l’altro giorno il ministro dell’Interno aveva fatto capire che lui non avrebbe fatto passi indietro, ma Palazzo Chigi ha tirato dritto. Per l’intera giornata di ieri, da Varsavia dove si trovava e da Twitter, Salvini ha sparato ad alzo zero sulla scelta di aprire i confini ad altri profughi. Nella notte si è svolto un vertice a Palazzo Chigi tra Conte e Salvini e probabilmente qualche altro ministro. Un accordo all’interno del governo sui migranti della Sea Watch è stato raggiunto, ma il vero nodo non è stato sciolto: lo dimostra il fatto che i comunicati finali siano stati due, uno di M5s e l’altro della Lega.
Il problema di Salvini è duplice. Da un lato c’è la questione di principio. È lui che deve autorizzare l’accoglienza e pretende di non essere esautorato. “In Italia si arriva con il permesso, io non cambio idea”, ha twittato ieri accompagnando il concetto con la foto di una frase scritta a penna: “Stop scafisti, stop ong, io non mollo”, con quell’“io” sottolineato. Come a dire: di altri non rispondo. Aggiungiamo un altro fatto incontrovertibile evidenziato da Salvini in un altro tweet: “Il 26 agosto 2018 dalla Diciotti sono sbarcate a Catania 177 persone. Anche questi dovevano essere ricollocati ma soltanto l’Irlanda ne ha presi 16”. Sottinteso: in Italia ne sono rimasti 161. “Come facciamo ad accogliere ancora quando ci hanno preso in giro per mesi?”. Per questo la Lega ha preteso che l’accoglienza dei 10 migranti destinati all’Italia sia subordinata alla ripartizione europea di circa 200 richiedenti asilo che avrebbero già dovuto essere redistribuiti tra diversi paesi europei, ma che da agosto scorso sono ancora nel nostro paese.
Quindi, la gestione del fenomeno migratorio è un tema ancora aperto che lacera il governo. Ma Salvini deve combattere anche su un altro fronte, che si chiama Conte. In questi mesi il mite professore di diritto catapultato alla guida del Paese ci ha preso gusto, si è costruito un profilo di grande mediatore tra i due vicepremier e sta gettando solide basi di dialogo con gli altri vertici istituzionali. Tutti, grillini e leghisti, dicono che quando scoppia un caso alla fine si trova l’accordo, e finora è andata così, ma il merito appare di Conte, non di Salvini o Di Maio. Il leader leghista si sta rendendo conto che la politica del braccio di ferro permanente alla fine va soltanto a vantaggio del premier, il quale sistematicamente scavalca il suo vice leghista.
Conte comincia a essere visto di buon occhio anche dall’establishment europeo, oltre che dal Quirinale. I commissari vogliono parlare sono con lui, nemmeno di Tria si fidano più, e così pure Macron e la Merkel. Sergio Mattarella l’aveva fatto presente fin dall’inizio dell’esperienza del governo gialloverde: l’interlocutore del Colle non sono i vice litigiosi, ma unicamente il capo del governo, garante dell’unità e della linea politica. E Conte non fa altro che prendere in mezzo Salvini, ascoltarlo ma poi decidere di testa sua, sapendo bene che la minaccia di una crisi di governo al momento è ancora lontana. I sondaggi non sono quelli di qualche settimana fa nemmeno per la Lega, ma i due partiti di governo sono ancora saldamente nel cuore degli elettori, che li sentono vicini e comunque continuano a non vedere alternative nelle forze politiche del passato. Ma è meglio che Conte torni a convincersi che anche lui deve camminare sul filo.