In casa leghista sta suonando un allarme rosso. Nonostante gli squilli di tromba salviniani, il tifo dei fan, la presenza sulla tv di Stato e le dirette sui social network, la stella di Matteo Salvini sta cominciando a offuscarsi. Non è questione di sondaggi e intenzioni di voto, nonostante gli analisti abbiano già rilevato qualche lieve cenno di flessione. Non è in discussione l’abilità politica e la capacità di tenersi stretto il consenso dei suoi. È che il tocco magico sfoderato nei primi mesi di governo, che gli è valso il balzo di popolarità, sembra svanito.



È dalle sfumature che vanno colti questi segnali. Dall’autunno in poi, quando si è cominciata ad affrontare la manovra, Salvini al governo non tocca palla o quasi. La legge di bilancio è tutta sbilanciata dalla parte dei grillini. Di flat tax non si parla; quota 100 è ferma negli uffici dei tecnici ministeriali; le grandi opere, fortissimamente volute dagli elettori salviniani del Nord, sono pericolosamente in bilico, per non parlare dell’autonomia delle Regioni del Nord, dispersa nelle nebbie padane. Le sfuriate antieuropeiste sono servite ad alzare lo spread e a innervosire Bruxelles, ma non a portare a casa le misure che il leader leghista voleva.



Il suo argomento unico è la gestione dei migranti. La parola d’ordine: non sbarcheranno. Invece sono sbarcati, pochi quanto si vuole, ma il diktat del Viminale non è stato rispettato e una decina di profughi ha toccato il suolo italiano. Il nervosismo del ministro dell’Interno cresce verso Conte e Di Maio, il leghista teme una manovra a tenaglia dei due per prenderlo in mezzo. Egli soffre soprattutto la crescita di Conte, per mesi “narrato” come una specie di burattino mentre ora si è accreditato come il vero interlocutore di Quirinale e Commissione Ue. C’è chi attribuisce a Salvini addirittura il sospetto di un complotto ai suoi danni per metterlo in cattiva luce. Ma non c’è bisogno di un complotto, perché Salvini riesce a farsi lo sgambetto da solo.



Va comunque registrato un cambio di strategia dei grillini al governo, che ora ricalcano lo stesso stile introdotto da Salvini agli inizi dell’esperienza dell’esecutivo gialloverde. Nei primi mesi di governo, il ministro dell’Interno dettava l’agenda ai colleghi: stop ai migranti, stop a “genitore 1 e 2”, decreto sicurezza, sì agli inceneritori. Conte tentennava e Di Maio con i suoi mostrava tutta la sua inadeguatezza. Poi il premier è cresciuto, anche perché dal Colle a Bruxelles vogliono trattare soltanto con lui e non con i due vice, mentre i grillini hanno cominciato a fare lo stesso gioco che faceva Salvini, cioè mettere ogni giorno sul tappeto un tema e costringere il leghista a fare la figura del “signor No”, come il notaio di Rischiatutto. Sono i grillini a dettare l’agenda. Un giorno l’accordo sui migranti, un altro la legge anticorruzione o il blocco della prescrizione, e poi la legalizzazione della cannabis o il rapporto costi-benefici della Tav. Da presidente del Consiglio ombra, Salvini è diventato l’ombra del presidente del Consiglio.

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