E’ curioso come sui grandi media tradizionali il dibattito sulle “questione delle élites” si vada accendendo di pari passo – spesso pagina contro pagina – con lo sviluppo concreto e visibile della medesima questione in campo giornalistico.
Negli ultimi giorni, ad esempio, sul Corriere della Sera è stato soprattutto Ernesto Galli Della Loggia ad esercitarsi sulla crisi delle classi dirigenti in Italia e nel mondo, con dovizia di argomenti analitici. Pressoché nelle stesse ore, tuttavia, proprio la redazione del Corriere è stata teatro di un clamoroso attacco di uno dei corrispondenti da Bruxelles – Ivo Caizzi – al direttore Luciano Fontana e al vicedirettore Federico Fubini. Oggetto della accuse di Caizzi è stato un presunto caso di fake news sulle colonne del quotidiano: che avrebbe insistito – secondo il corrispondente – ben oltre la fondatezza dei fatti e l’obiettività giornalistica su tempi e determinazione della Commissione Ue nel maneggiare l’arma della procedura d’infrazione contro la manovra italiana. Nella sostanza: la direzione del Corriere avrebbe sposato in modo fazioso il rigorismo della tecnocrazia europea (élite per antonomasia) contro il governo in carica, nello sforzo spasmodico di contrastare una maggioranza “anti-élite”, pur democraticamente eletta in Italia.
Fontana ha respinto le accuse in modo fermo e dettagliato e l’incidente è apparentemente chiuso. Resta tuttavia alle cronache un singolare scontro interno sul ruolo al quotidiano italiano storicamente più consustanziale alle élites nazionali e internazionali. Un caso che peraltro non ha avuto nessun riflesso visibile sulle pagine del quotidiano, mentre è stato raccontato e commentato ampiamente da altri media. Può sembrare in qualche modo scontato: lo è di meno se e quando i comportamenti delle élites, in tutte le loro strutture e manifestazioni, sono una delle questioni politico-giornalistiche del momento, al punto che lo stesso Corriere ritiene di rifletterci con le sue firme intellettuali di punta. Per di più Fubini è stato uno dei due giornalisti italiani chiamati a far parte di una commissione costituita dalla Ue per combattere le minacce delle cosiddette fake news alla democrazia.
Il quotidiano di Via Solferino non è d’altronde l’unico laboratorio meritevole di attenzione nella “fabbrica” politico-elettorale ormai in piena attività in vista del voto per l’europarlamento. Anche Repubblica ha schierato una sua grande firma – Alessandro Baricco – per sollecitare le élites ad affrontare attivamente le innumerevoli sfide portate dai cosiddetti populismi. Un altro intervento leggibile, di sicuro interesse. Ma nella stessa edizione di ieri la grande fotonotizia di prima pagina inquadrava il cancelliere tedesco Angela Merkel sorridente – durante una visita in Grecia – con il premier Alexis Tsipras. Il quotidiano ha voluto dare aperto risalto al ritorno di una cordiale normalità di rapporti fra il paese “primo della classe” nella Ue e la “pecora nera”, protagonista tre anni fa di una drammatica resa dei conti all’interno dell’eurozona e quindi di un duro percorso di austerity.
Pur dando credito alla redazione di Repubblica della massima buona fede professionale, era difficile non leggere in controluce una didascalia “non verbale”: “La Grecia ha rimeritato l’appartenenza all’Europa obbedendo ai parametri Ue”. Lo stesso Tsipras era partito come ribelle, come “antagonista”: indicendo addirittura un referendum-lampo plateale (comunque conquistando il consenso momentaneo della maggioranza dei greci contro ogni ipotesi di “resa” alla Ue). Fino all’ultimo aveva tenuto al suo fianco – come ministro delle Finanze – Yanis Varoufakis: divenuto icona antagonista globale. Poi ha firmato un accordo “lacrime e sangue” – direttamente con Angela Merkel – dopo un estenuate vertice notturno con tutti i capi di Stato e di governo dell’eurozona (Renzi compreso). Grazie a quello ha conservato la premiership nei tre anni successivi di “cura da cavallo”. E’ questa la “narrazione” ex post che Repubblica sta proiettando ex ante sul futuro dell’Italia, Paese col peggiore rapporto debito/Pil nell’eurozona salvo la Grecia? Non c’è salvezza al di fuori del rispetto del verbo delle élites “costituite” in Europa? Il gioco dell’Italia nell’eurozona deve tornare al via, cioè a Monti 2011?
Il punto, tuttavia, non è di merito. Non c’è dubbio che il mancato rispetto delle regole di un club costituisce problema anzitutto per chi non le rispetta e non per il club, ancorché tacciabile di élitismo. Però non è banale che oggi a professare l’adesione ai desiderata dell’élitismo Ue sia chi, al voto europeo del 2014, ha chiesto e ottenuto voti candidandosi in Italia sotto le insegne di “L’Altra Europa per Tsipras”. Perché due eletti a Strasburgo furono una grande firma di Repubblica (Curzio Maltese) e una della Stampa (Barbara Spinelli). Quando Baricco – su Repubblica – invita le élites europee a riconoscere gli errori e cambiare passo si riferisce anche a loro?