“Davvero non si comprende perché gli imprenditori se lo tengano”, ha twittato Carlo Calenda, ex ministro renziano e gentiloniano allo Sviluppo economico, riferendosi a Vincenzo Boccia, Presidente della Confindustria. E lo sprazzo di sincerità contenuto in quel “davvero non si comprende” dell’ex pariolino di lotta e di governo è meritorio, perché, mettendo in fila le sue ultime esternazioni, il “non comprendere” è una costante. Sua, di lui. Ma stavolta l’esternazione fa capire che il figlio dello scrittore Fabio e di Cristina Comencini ha finalmente deciso cosa fare da grande, cioè vuol fare – industriali permettendo – il Presidente della Confindustria. Ci riuscirà?
Va detto che la grande attenzione a costruirsi un futuro Calenda ce l’ha nel sangue, e la deve alla sollecitudine di una famiglia dove il nonno materno, il grande regista Luigi Comencini, a 10 anni lo prende per interpretare lo scolaro Enrico Bottini nello sceneggiato televisivo tratto dal libro Cuore… Era stato un buon inizio, peccato non seguito da equivalenti sviluppi, forse i più adatti a un certo trasformismo congenito.
Laureato in giurisprudenza, Calenda vive una discreta carriera manageriale all’ombra di Luca di Montezemolo, una conoscenza familiare, l’uomo che sussurrava ai pm di Torino (1982) di aver intascato soldi da imprenditori piemontesi per organizzare inutili incontri con l’Avvocato Agnelli spacciando agli uni una disponibilità personale verso di loro che in realtà il presidente della Fiat non nutriva affatto e all’altro che meritassero una mezz’ora di distratta attenzione…. Con Montezemolo Calenda è stato direttore responsabile della gestione delle relazioni con i clienti e con le istituzioni finanziarie della Ferrari, assistente del Presidente di Confindustria, e infine direttore dell’Interporto Campano, sempre galassia Montezemolo… Discreta, dunque, per quanto un po’ monocorde nella gravitazione.
Ed è sempre grazie a Montezemolo che Calenda inizia a interessarsi di politica, con l’iniziativa – mai decollata – di Italia Futura (e oggi dice del suo mentore che “è furbo”). Constatato l’aborto del partiticchio montezemoliano, Calenda si travasa in “Scelta civica”, l’infausta iniziativa di Mario Monti, seguita alla conclusione del suo Governo di cosiddetta salute pubblica. Si candida alle elezioni del 2013 e non lo vota nessuno.
Il passaggio per cui, a sconfitta ancora calda, Enrico Letta lo sceglie come viceministro allo Sviluppo con delega al commercio estero, ha dinamiche un po’ misteriose, ma ci fu: e iniziò per Calenda una fase buona, forse la migliore, perché in quel ruolo si diede da fare in un mestiere che è forse l’unico in cui riesca bene, cioè le relazione pubbliche internazionali…
È da quel passaggio in poi che la verve politica di Calenda monta, però, come uno zabaione e l’uomo sceglie ahilui come terreno di gioco quel che resta del Pd. Aumenta cioè in modo esponenziale le sue esternazioni e comincia a entrare (tentare di…) nel gioco partitico forse intuendo che la scommessa di Renzi era quella di democristianizzare (o Forzaitalizzare) il Pd dall’interno, quel che poi sarebbe avvenuto se l’uomo di Rignano avesse vinto il referendum costituzionale…
Da quel momento in poi Calenda è tutto un florilegio di tweet. Attorno al tentativo, più patetico che sorprendente, di assumere un’identità politica personale che proprio non è nelle sue corde. Sa parlare, certo, ma parla difficile. È implausibile nei panni di un leader popolare, perché è una stilla dell’élite. È implausibile nel ruolo di un leader d’élite, perché ha scelto di competere in un partito di matrice popolare. Si può dire ogni bene di lui, fuorché che sia un simpaticone.
La sua uscita frontale contro Boccia rappresenta il culmine di una serie di frecciate. E volendo fare la storia minima del personaggio si impone di annotare che, scadendo Boccia nel maggio del 2020, è una “volata lunga” quella alla quale Calenda sembrerebbe essersi prenotato. Predicando per gli industriali riuniti un futuro politico antagonista che non è nel dna della Confindustria: “agovernativa” per definizione, obbligata com’è dal proprio ruolo di parte sociale, di “corpo intermedio”, a negoziare con qualsiasi governo, senza preclusioni o simpatie pregiudiziali, nell’interesse… degli interessi che dichiaratamente e lecitamente rappresenta.
Certo, la sfida di Calenda potrebbe essere un’ennesima incarnazione montezemoliana, e il suo mentore, pur nell’Italia gialloverde e nell’Europa frastornata dei nostri tempi, al momento della conta in Confindustria potrebbe avere ancora il suo peso… ma è chiaro che a dispetto dell’età relativamente giovane (ha 47 anni) Calenda sconta la densità delle sue origini e della sua storia personale come un handicap rispetto a qualunque idea di rinnovamento. È stato ovunque e ha condiviso tanto – se non tutto – delle logiche del potere economico italiano prosperate nel corso della cosiddetta Seconda Repubblica: come potrebbe essere considerato portatore di una propositività nuova?
Pare che agli amici confidi, oggi, che la Confindustria avrebbe bisogno in questa fase storica di un “papa straniero”, di un leader non imprenditore, come fu Guido Carli, tra il ’76 e l’80… Ma la sola idea di accostare la figura di Calenda a quella di un economista di caratura internazionale come fu Carli fa sorridere.