Il 19 gennaio del 2000, moriva ad Hammamet in Tunisia Bettino Craxi, leader del Partito socialista italiano, una delle figure storiche della cosiddetta “prima repubblica” destinate a diventare sempre più scomode anche per la fragile memoria italiana, per un Paese che ha sempre l’ansia di rimuovere gli opportunismi più orrendi e che sragiona spesso, per volgari manipolazioni di massa, sulla realtà che ha avuto di fronte agli occhi.



Craxi aveva 66 anni, una mente lucidissima e una visione politica di prim’ordine, sia in politica nazionale che internazionale. Era ammalato, ma soprattutto colpito al cuore dalle menzogne e dalla sgangherata ipocrisia di quella che doveva essere la classe dirigente della “seconda repubblica”, nata (si fa per dire) per ordini molteplici che arrivavano da lontano e che veniva instaurata per via giudiziaria, con una magistratura militante che rappresentava il peggiore strappo possibile alla divisione dei poteri in una repubblica democratica.



Si trovava in Tunisia per una delle più incredibili contraddizioni della Repubblica italiana. Craxi era in esilio e aveva contatti con tutti, ma nello stesso tempo, per gli aspiranti Javert della Procura di Milano e per i loro supporter era un latitante, a cui, unico caso forse nella storia degli Stati democratici, il governo in carica aveva alla fine riservato un funerale di Stato con tutti gli onori.

Gli inviati da Roma nella Cattedrale di Tunisi, dove si svolse il funerale, furono duramente contestati e ripagati di una cascata di monetine, così come fu trattato Craxi, in un pomeriggio romano uscendo dal suo albergo, su suggerimento di una folla di orfani di due totalitarismi defunti ma in quel momento in Italia “politicamente vincenti”: i neofascisti e i postcomunisti.



Forse Craxi avrebbe potuto essere salvato da un ricovero in Italia, ma il procuratore Francesco Saverio Borrelli fece sapere che il “latitante” avrebbe dovuto essere arrestato. Craxi si arrese a quel diktat, restò in Tunisia, morì e ora è sepolto nella parte cristiana del piccolo cimitero di Hammamet.

Il leader socialista ha pagato duramente il fatto che un sistema di finanziamento pubblico ai partiti, illegale fin dal 1946 e amnistiato nel 1989 con un voto sottobanco in commissione, lasciasse liberi chi aveva firmato bilanci falsi, chi aveva preso soldi dall’Urss a carrettate e chi da altri Paesi e da lobbies varie. Bettino Craxi, con tre interventi alla Camera dei deputati, invitò tutti a “una grande confessione” e a un mutamento del finanziamento pubblico. Le sue parole furono valutate come un aggravante dagli aspiranti Javert di Milano e Craxi fu condannato.

Il colpo della colossale presa per i fondelli del popolo italiano fu quel fatidico anno 1992. In Italia Craxi era nel mirino della magistratura, mentre veniva confermato dall’Onu di Boutros Ghali, nel mese di marzo, come consigliere speciale per i problemi dello sviluppo e del consolidamento della pace e della sicurezza. Nell’ottobre del 1990, con Perez de Cuellar aveva presentato un piano che prevedeva l’azzeramento del debito per i paesi del Terzo mondo, un ruolo centrale nel mondo per il Mediterraneo e per l’Italia. Quel piano fu approvato all’unanimità dall’Assemblea delle Nazioni Unite.

In quello stesso 1992, mentre la magistratura lo incalzava, l’Italia, con il via alle privatizzazioni selvagge, cominciava a non crescere più dal secondo semestre e riusciva persino a nominare presidente del Comitato che presiedeva i servizi segreti italiani il post-comunista Ugo Pecchioli, colui che aveva per primo sentenziato, quando Aldo Moro fu rapito, che “per noi del Pci, Moro è morto e non ci sarà alcuna trattativa”. Ma Pecchioli era già famoso per aver gestito una serie di radiotrasmittenti clandestine con l’Urss negli anni Ottanta.

Era un triste Circo Barnum che andava in scena e non si sarebbe più fermato. Certo, quando l’Italia sarà rinsavita, anche se magari più duramente provata, anche i giovani conosceranno la vera storia degli ultimi trent’anni di storia italiana. Verranno smascherate anche in Italia le “élites” storiche imbroglione, gli storici “negazionisti”, non pubblicati ad esempio in Germania perché giudicati negazionisti sui crimini stalinisti, e gli smemorati di turno, quelli che “cadono dal pero” quando c’è da rinnovare un contratto televisivo particolarmente significativo (pecuniariamente parlando). La verità alla fine verrà a galla in tutta la sua inquietante ampiezza. E la scomodità di Craxi, con molta probabilità, si trasformerà da un’attuale, apparente e soffocata nostalgia in collera e rancore contro queste élites di imbecilli smemorati.

In questi anni sono stati molti i libri che hanno riabilitato la figura di Craxi o quanto meno l’hanno inquadrata senza pregiudizi e senza faziosità. Sarebbe interessante promuovere in università di storia dibattiti e confronti su libri come quello di Ugo Finetti Storia di Craxi o quello di Massimo Pini Craxi. Una vita, un’era politica. Sono solo due esempi, perché la fila dei libri e degli studi su Craxi diventano sempre più intensi.

Il tutto grazie anche al lavoro della figlia Stefania, con la Fondazione Craxi, alle testimonianze del figlio Bobo, ad altri libri di memorie che l’attuale presidente della Fondazione, Margherita Boniver, guarda con cura e cataloga con scrupolo.

C’è in più, per merito della Fondazione Craxi, una raccolta di tanto materiale scritto da Bettino negli anni dell’esilio. L’ultimo libro uscito, edito da Mondadori e intitolato Uno sguardo sul mondo, dà la misura del Craxi politico internazionale e delle sue profezie: “Una crisi profonda – scriveva Craxi prima di morire – sta investendo la comunità europea, la sua politica e le sue istituzioni”. E sull’Italia specificava: “In Italia sono stati violati principi costituzionali, leggi della Repubblica, norme dei Trattati internazionali, norme dei Trattati europei. Al di là dei nostri confini, in questi anni, su tutto questo si è diffusa una sorta di miopia acuta”. E ancora: “Nel mondo ci sono lunghe mani che si ispirano alla teoria della ‘globalizzazione’ con tutte le storture e le sopraffazioni che questo può comportare”. Insomma era uno, Bettino Craxi, che vedeva quello che altri hanno visto dopo circa venti anni.

Si nota oggi una cosa almeno strana e anomala. Tutti in questo periodo si dichiarano riformisti e garantisti. Mai ai tempi di Craxi socialista “riformista” era un insulto. E ai tempi del mitico ’92, garantista era un altrettanto insulto.

Forse c’è voluta l’intera vita di Craxi nel mantenersi sempre socialista, riformista, garantista, aperto alla socialdemocrazia europea e teorico di un socialismo liberale, che derivava dall’insegnamento dei primi riformisti e dai fratelli Rosselli, per far crescere di poco un paese pigro e disinformato.

E’ il testamento di una vita che lasciano i grandi della storia, che sono sempre compresi tardi, come del resto accade per i fatti storici. In uno degli ultimi festival dell’Unità, Massimo D’Alema aveva invitato François Furet, lo storico francese che aveva scritto “Il passato di un’illusione “ riferendosi al comunismo fallito. Quando ascoltò gli interventi, Furet chiese a D’Alema con un poco di ironia: “Mi scusi, ma questi signori hanno compreso che c’è stato il passato di un’illusione?”.

E’ il destino della verità storica, purtroppo. Procede lentamente e metodicamente e la si capisce solo tardi.