L’allarme recessione è piombato a guastare la festa dei gialloverdi di governo. Varata la finanziaria, approvato il decreto su reddito di cittadinanza e quota 100, il premier e i due vice si preparano a stappare spumante. Ognuno ha portato a casa il suo provvedimento di bandiera e ora si vedrà se effettivamente queste misure aiuteranno la crescita, come Di Maio e Salvini giurano e spergiurano da mesi. Il ministro 5 Stelle ha annunciato addirittura un nuovo boom di posti di lavoro. L’esecutivo Conte sembra di nuovo viaggiare con il vento in poppa.
Ma il rischio della frenata dell’economia è un pericolo reale. Da mesi è tutto bloccato in attesa delle nuove misure, si è perso molto tempo nel braccio di ferro con l’Europa per uno zero virgola in più o in meno sul rapporto tra deficit e Pil, si è approvata una riformina del mercato del lavoro che lo ha ingessato anziché svincolarlo. E ora i numeri dicono che la produzione industriale ristagna, che le esportazioni non tirano più come un tempo per colpa di embarghi e veti internazionali, e che i consumi interni sono ancora lontani dalla ripartenza. Il reddito di cittadinanza, nelle intenzioni di Di Maio, sarà uno stimolo all’occupazione. Bisognerà aspettare i primi riscontri per dirlo, perché si tratta di una misura senza precedenti e gli effetti, in fase di previsione, potrebbero non essere calcolati con precisione.
Certo è che se il reddito funzionasse, il Pd potrebbe dire addio alle speranze di rialzare la testa. Ma è altrettanto certo che il sussidio non potrà sostituire la ripresa dell’economia reale. E se questa ripresa non arriverà, la campagna elettorale per le europee scatenerà una lotta intestina al governo. Senza risalita del prodotto interno i numeri della manovra saltano e il governo tra sei mesi dovrà correre ai ripari. Lega e 5 Stelle si rimpalleranno la responsabilità di aver affossato il rilancio per aver messo i soldi sulle spese assistenziali (pensioni e sussidio) anziché sugli investimenti pubblici, come per esempio le grandi opere infrastrutturali.
Altro potenziale rischio per il governo è la questione migratoria. Ieri oltre 100 africani morti nel Mediterraneo. I gommoni continuano a partire dalla Libia anche se le “navi scopa” delle Ong sono lontane e i porti italiani restano chiusi. Conte si è allineato a Salvini: evidentemente i grillini non vogliono lasciare al leghista l’esclusiva della faccia cattiva con i “trafficanti di morte”. Ma c’è una differenza rispetto al ministro dell’Interno. Il premier ha annunciato che, finita l’esperienza a Palazzo Chigi, si dedicherà da avvocato (non più del popolo) e da giurista a combattere gli scafisti. È un modo per intercettare quella fascia di malcontento verso il pugno di ferro leghista, settori di opinione pubblica e di poteri forti che non vogliono un’accoglienza indiscriminata ma neppure un Mediterraneo trasformato in cimitero.
Ancora una volta, è Conte a cercare di ricucire con l’appoggio discreto di Mattarella. L’altro giorno il premier ha incassato i complimenti della Merkel che ha detto di apprezzare molto il suo stile. E durante il viaggio a Berlino del presidente della Repubblica, la Germania ha assicurato la disponibilità a partecipare a un’eventuale seconda tappa del processo avviato dalla conferenza sulla Libia di Palermo. Dopo aver parlato con Mattarella, la cancelliera ha spiegato che la posizione tedesca è più vicina a quella italiana che a quella francese. Conte consolida la sua immagine e al tempo stesso argina Salvini. Il quale invece attende soltanto le europee per discutere con Di Maio una ridistribuzione di pesi, e di poltrone, all’interno dell’esecutivo.