E all’improvviso, nel bel mezzo dell’inverno, la questione migratoria riesplode quando meno te l’aspetti. Ma nella narrazione del problema da parte della politica italiana va registrata una rilevante novità: l’attacco a un nuovo nemico, la Francia. Intendiamoci bene: Luigi Di Maio che accusa Parigi di neocolonialismo in Africa non è impazzito. Approfitta piuttosto di un’inattesa apertura di credito, venuta dalla cancelliera Angela Merkel. Nell’incontro a Berlino con il presidente Mattarella la politica più influente d’Europa ha fatto sapere di sentirsi più vicina all’Italia che alla Francia nella gestione del dossier migranti. Di Maio è stato il più lesto ad approfittarne, ma la questione è decisamente complessa, a cominciare dal tasto più dolente, la Libia.
Il fatto che dalle coste di fronte alla Sicilia anche in pieno inverno possano partire ondate migratorie quasi a comando fanno capire che siamo lontanissimi da una situazione stabilizzata, che nel pollaio post gheddafiano ci sono troppi galli a cantare, e quindi in troppi per interesse possono aprire a comando il rubinetto delle partenze, attingendo a un serbatoio quasi inesauribile di disperazione umana pronta a tutto pur di tentare l’approdo nell’Eldorado chiamato Europa. Pronta anche a rischiare la vita nelle gelide acque del Canale di Sicilia a metà gennaio.
Se la Libia non è affatto pacificata, questo significa che sin qui tutti gli sforzi europei, e italiani in particolare, sono stati sostanzialmente infruttuosi. Il flusso delle partenze si è ridotto dell’80% nel 2018, ma potrebbe riprendere massiccio in ogni momento. E questo anche perché le politiche di Francia e Italia sono frontalmente contrapposte. Roma sostiene il governo di Tripoli, quello di Serraj, internazionalmente riconosciuto, Parigi quello di Bengasi del generale Haftar, con cui pure il premier Conte si è incontrato, ma senza progressi sostanziali. Sullo sfondo senza dubbio anche il controllo del gas e del petrolio libico, sin dall’affondo che nel 2011 portò alla caduta di Gheddafi, e una miriade di milizie l’una contro l’altra armata, un terreno incredibilmente scivoloso.
L’appoggio tedesco all’Italia potrebbe contribuire a rafforzare le posizioni italiane, che devono scontare l’egemonia francese sui paesi dell’Africa sub-sahariana, quelli di transito dei flussi dei disperati diretti a nord. Non a caso Parigi ha frapposto mille ostacoli al tentativo italiano di giocare un ruolo nell’area, installando una missione militare in Niger.
Da parte tedesca non si tratta però di un sostegno gratuito. Berlino chiede al nostro governo di riprendersi gli irregolari transitati dall’Italia prima di approdare in Germania, sulla base del trattato di Dublino, ma è anche pronta a accollarsi un certo numero di migranti “regolari”, cioè registrati al loro arrivo sulle coste italiane. E nel far questo la Merkel ipotizza anche che la redistribuzione dei migranti possa avvenire solo fra i paesi disponibili, superando la resistenza dei paesi dell’Est. Una sorta di ratifica di un’Europa a più velocità, unico antidoto alla paralisi, che non ha mai entusiasmato il nostro governo.
Come può influire tutto questo sulla politica italiana? Di fatto come una spada di Damocle, pronta a riaccendere lo scontro, ad accrescere sul governo la pressione del mondo cattolico, forte delle parole del Papa, che guarda più alle vite da salvare che al traffico degli esseri umani. Lo mostra quel “vittime forse di trafficanti” (“vittime forse di trafficanti cercavano futuro per la loro vita”) troppo debole per Matteo Salvini, che dell’interruzione del flusso delle partenze ha fatto un punto d’onore.
La Libia rimane comunque il punto debole della politica estera italiana, in grado anche di condizionare i nostri rapporti con l’Europa. La sfida è saper dare un impulso decisivo alla turbolenta situazione. Impresa difficilissima, ma necessaria. La sponda della Merkel è un’occasione da non perdere, ma inserirsi nel dialogo privilegiato fra Parigi e Berlino non sarà facile. Domani, martedì, Merkel e Macron firmeranno un nuovo trattato bilaterale molto impegnativo. Non è solo questione (pur rilevante) di migranti: è questione di equilibri nell’Europa che verrà, sempre più a trazione franco-tedesca, con l’Italia sempre più ai margini se non saprà reagire.