Il rientro in scena di Silvio Berlusconi. Il manifesto #siamo-europei di Carlo Calenda (con adesioni fondative di figure come Paolo Gentiloni e Beppe Sala). “Ho imparato”, il nuovo libro di Enrico Letta dalla parigina Science Po. Il dibattito sul possibile rilancio politico dei cattolici italiani attorno al centenario dell’appello di don Sturzo “ai liberi e ai forti”. L’attendismo vigile di +Europa di Emma Bonino. Notizie apparentemente laterali fra politica e finanza, come l’incarico di consulenza affidato da Mediobanca a Roberto Maroni. O come l’attivismo crescente di un business leader come Marco Tronchetti Provera. Perfino un appuntamento mondano fra tanti a Roma – una cena -fundraising che ha mescolato magistrati di alto rango con il vicepremier Salvini, l’editore del Corriere della Sera Urbano Cairo, Luca di Montezemolo e Flavio Briatore – è finito con molto risalto nelle cronache politiche.



Il denominatore comune di questi fermenti di inizio anno non è difficile da scorgere: è l’avvicinamento alla scadenza euro-elettorale di fine maggio. Di fatto una verifica degli equilibri politici italiani a un anno dal voto che ha portato al governo l’inedito maggioranza Lega-M5S. E senza dimenticare che la parabola meteorica di Matteo Renzi è iniziata proprio alle ultime europee, nel 2014.



Proprio il Pd – che non ha ancora regolato i conti con il suo ex segretario-premier e con le sconfitte elettorali del 2016 e 2018 – rimane tuttora il grande assente: tanto che Letta e Gentiloni (i due premier che hanno condiviso con Renzi la guida del governo di centrosinistra nell’ultima legislatura) sembrano voler rompere gli indugi e guardare oltre i paralizzanti conflitti interni del Pd. Esattamente come il sindaco di Milano, estremo baluardo del Pd al Nord. Tutti sembrano, in qualche modo, voler anticipare l’opzione “scissionista” in mano a Renzi: mobilizzando il Pd in contenitori elettorali più ampi.



Il centro – luogo politologico per eccellenza – è il terreno di gioco comune per iniziative che restano diverse in più di una motivazione specifica (quella di Berlusconi sembra ad esempio ancorata alla difesa finale dei propri interessi imprenditoriali) e spesso si rivelano subito concorrenti (le prime scaramucce fra Calenda e Letta sono maturate nell’arco di ore).

Pur nella sua frammentarietà, la dinamica sembra però puntare collettivamente verso un traguardo identificato: contenere al massimo l’avanzata strutturale della Lega, finora regolarmente registrata dai sondaggi. Esattamente come per il Pd la debacle elettorale è maturata al di sotto di quota 20%, la soglia del 30% sembra destinata a decretare per la Lega una vittoria netta oppure un’insidiosa “non vittoria”, soprattutto se non dovesse concretizzarsi il sorpasso su M5S e se il contributo della Lega alla performance sovranista nel voto europeo fosse inferiore alle attese. Sono quindi evidenti gli sforzi di molti – al centro – per impedire che il “capitano Salvini” consolidi in modo definitivo la sua leadership nel Paese: esercitata finora di fatto, non nei numeri elettorali e tanto meno in quelli parlamentari nazionali.

Incuneare il 26 maggio un’area elettorale centrista – anche non omogenea – avrebbe l’obiettivo di indebolire il diaframma populista del governo Conte: di mettere sotto ulteriore pressione la “strana maggioranza” che ha fatto molta fatica a tenere assieme in manovra reddito di cittadinanza e quota 100, decreto dignità e decreto sicurezza. L’ipotesi di una crisi di governo non appare inverosimile: soprattutto in caso di arretramento di M5S dopo un anno di guida Di Maio.

Forse non sarebbero maturi i tempi e i modi di un rientro in Italia di Mario Draghi dalla Bce a capo di un “governo del Presidente”, ma le condizioni per una verifica strutturale potrebbero non mancare. Non tutto, comunque, verrebbe deciso in Italia: per questo sarà interessante osservare nelle prossime settimane, quanto Berlusconi sia – o voglia apparire – il vero terminale italiano del Ppe “tedesco”; e quali collegamenti effettivi possano stabilirsi tra la pericolante presidenza francese di Emmanuel Macron e la residua leadership di Renzi nel Pd. O almeno su di una sua fazione.