Le morti in mare continuano a dividere Roma da Parigi e Berlino. Ieri la Germania prima ha annunciato di ritirarsi dalla missione EuNavfor Med Sophia, poi ha fatto marcia indietro dicendo che continuerà a a partecipare. “Cambino le regole o finisce la missione”, ha detto il vicepremier Salvini, che ha anche parlato di “evidenze di contatti tra Ong e trafficanti”. Complicano la fase politica  i dissidi con la Francia di Macron e la firma del nuovo Trattato franco-tedesco.



“Qui non si discute che le vite vadano salvate – spiega Paolo Quercia, analista di politica estera – ma dove portare quelle vite salvate nelle acque libiche o internazionali. E questa è una questione più complessa del salvataggio. La risposta che la destinazione sia l’Italia non è giuridicamente corretta né politicamente sostenibile”.



Assistiamo all’ennesimo contrasto tra paesi europei nell’approccio delle politiche migratorie. L’Italia è rimasta sola a causa della sua intransigenza?

Direi che in Europa siamo isolati per una serie di motivi, più ampi delle questioni migratorie. In primo luogo la posizione geografica che ci condanna a un ruolo di frontiera molto lontano dal baricentro degli interessi europei e dove dobbiamo cavarcela da soli. Poi per la nostra debolezza politica; ed infine per il fatto che siamo divisi in piccole lobby di interessi e non tutti lavorano per l’interesse nazionale.

Berlino, in disaccordo con la linea di Roma, prima ha annunciato di voler sospendere la partecipazione alla missione Sophia poi ha ritrattato. Che ne pensa?



La missione ha ovviamente i suoi problemi nel mandato. Però lo stallo si è avuto sui porti di sbarco. Dove l’Europa non vuole assumersi le proprie responsabilità. Legittimo. Però il fatto che la decisione tedesca di abbandonare la missione sia avvenuta in contemporanea con la firma del Trattato di cooperazione e di integrazione franco-tedesco, lascia intravedere un più ampio disegno politico.

“Se Sophia avesse avuto nel suo mandato il soccorso dei migranti ne avrebbe soccorso 500mila, non 45mila” ha detto ieri l’ammiraglio Credendino, comandante di Eunavfor Med Sophia.

È il riconoscimento dell’esistenza del cosiddetto pull factor. Più navi metti in mare (Ong, militari, mercantili) più persone partono, muoiono e vengono soccorse.

Ma come possono i porti chiusi e i calcoli politici prevalere sulle vite da salvare in mare?

Sono questioni diverse. Il sistema internazionale è fatto non solo di principi morali, ma anche di regole giuridiche e di rapporti politici. Qui non si discute che le vite vadano salvate. Si discute dove portare quelle vite salvate nelle acque libiche o internazionali. E questa è una questione più complessa del salvataggio. La risposta che la destinazione sia l’Italia non è giuridicamente corretta né politicamente sostenibile. Qui è in gioco un importante principio di uguaglianza tra gli Stati ed anche importanti aspetti di sicurezza ed economici.

Qualcuno sostiene che l’esistenza di una guardia costiera e di un’area Search and Rescue (Sar) libica siano un espediente creato dall’Italia per non intervenire nel recupero dei migranti in mare.

Ma anche la Libia è uno Stato e non abbiamo un diritto di sopprimerlo, anzi il dovere di rimetterlo in piedi. Altrimenti i problemi diverranno cento volte più grandi. Le dirò di più. Dovremmo investire non solo sul Sar nel Mediterraneo supportando la guardia costiera libica ma sopratutto nel Sar nel Sahel, nel deserto. Che è un mare più pericoloso del Mediterraneo di cui nessuno si preoccupa. È li che vanno intercettate le carovane di migranti. È lì che va gestito il problema con gli strumenti dei rimpatri volontari assistiti dalla Ue.

L’ultimo naufragio è stato causato dal fatto che la Libia non ha soccorso un gommone che stava affondando. Potrebbe anche non aver impedito la partenza, magari su mandato di qualcun altro.

Conosciamo la situazione libica e sappiamo quanto essa sia complessa. Proprio per evitare possibili ricatti da parte delle organizzazioni criminali che vi operano è importante ricreare le forze di sicurezza libiche, la guardia costiera, la magistratura, la gestione dei centri di detenzione.

Si è parlato di operazione libica per avere più soldi. In ogni caso Conte è intervenuto per persuadere i libici a riaccettare i migranti.

Ha fatto bene. Probabilmente ha disinnescato una crisi di governo.

Di Maio ha accusato Macron di politica neocoloniale, con la quale la Francia continuerebbe a spingere migranti verso l’Italia. Ha ragione o torto?

Mi sembra chiaro che le due questioni non sono connesse e che sono affermazioni che rispondono a logiche di politica interna e non ad una reale conoscenza dei fatti e dei loro nessi causali. Diverso se si vuole sostenere che la Francia – così come la Russia o la Cina – ha importanti interessi economici e di sicurezza in ballo in Africa e che la loro salvaguardia può indirettamente portare a tollerare i traffici di migranti verso la Libia e l’Italia. Ma parliamo di cose molto diverse.

Di fronte alla strategia dei trafficanti di incentivazione delle partenze, qual è la risposta più adeguata? L’apertura dei porti o la loro chiusura?

I porti devono essere aperti a chi ha diritto di sbarcare e chiusi a chi non ne ha. I centri di detenzione che in Libia costituiscono il serbatoio da cui i trafficanti attingono per le partenze vanno progressivamente svuotati operando per prosciugare le rotte che dall’Egitto, dall’Algeria, dal Niger, dal Sudan conducono verso quell’inferno di disperazione umana che è divenuto la Libia.

Porti chiusi, ingresso per sole vie legali e “decreto sicurezza” (legge 132/2018) costituiscono di fatto una politica migratoria. Qual è la sua opinione?

Che è necessaria una politica estera dell’emigrazione e non solo una politica che gioca sulle vite umane a cavallo della frontiera della Ue. Una politica migratoria è fatta da una componente interna ed una esterna. Questo governo ha impostato una sua chiara politica interna, giusta o sbagliata che sia. Manca una politica estera del fenomeno. Qui si sono viste forti tensioni nelle scorse settimane all’interno dell’esecutivo. L’assenza di una politica estera migratoria che rallenta e blocca i flussi alla fonte o lungo le rotte costringe la politica interna ad essere più muscolare. È un bicefalismo molto strano, che in qualche modo va ricomposto. Il maggior attivismo di Conte su questo dossier mi pare vada letto in questo senso.

In attesa delle elezioni europee, quali sono le scelte che il governo italiano dovrebbe adottare nel breve e nel medio termine?

Il fenomeno è stato in buona parte arginato, almeno per l’immediato. Al 21 gennaio 2019 sono arrivati appena 155 migranti in Italia via mare dalla rotta del Mediterraneo centrale. Nello stesso periodo del 2018 ne erano sbarcati oltre 2700. Anche il numero dei morti è diminuito in questa prima parte dell’anno: 142 nel 2019 contro 179 del 2018. Il problema è che i successi sono instabili e che è stato pagato un prezzo politico molto elevato in Europa. È necessario ricucire con Berlino, continuare il sostegno alla Libia e alle sue diverse componenti e soprattutto avviare una politica di contrasto ai traffici nel Sahel lungo le rotte che conducono alla Libia.

(Federico Ferraù)