Matteo Salvini è di nuovo indagato. Per dirla con le sue parole, rischia fino a 15 anni di carcere se condannato. A prescindere dal suo “non ho paura, vado avanti” cosa c’è dietro la scelta del tribunale dei ministri di Catania di riprendere in mano una questione avviata verso l’archiviazione su richiesta della procura di Catania e non più al centro della polemica, presentando al Senato richiesta di autorizzazione a procedere? C’è un po’ di tutto, ma questo “tutto” riporta sempre alla politica. Ci sono motivazioni politiche pure e motivazioni politiche interne alla magistratura, legate allo scontro in corso da anni fra le correnti all’interno del “palazzaccio” di Catania. Ma la motivazione con la quale la richiesta viene avanzata va oltre e tocca i diritti, rischia di demolire per via giudiziaria almeno due dei nostri principi costituzionali e rafforza, invece, i livelli giuridici sovranazionali.



“L’obbligo di salvare la vita in mare – sostiene il tribunale dei ministri – costituisce un preciso dovere degli Stati e prevale su tutte le norme e gli accordi bilaterali finalizzati al contrasto dell’immigrazione irregolare”.

Ma poi va oltre e si spinge a limitare la potestà italiana: “le Convenzioni internazionali cui l’Italia ha aderito costituiscono un limite alla potestà legislativa dello Stato e, in base agli art.10, 11 e 117 della Costituzione, non possono costituire oggetto di deroga da parte di valutazioni discrezionali dell’autorità politica”.



Valutazioni opposte rispetto a quelle della procura di Catania che nella richiesta di archiviazione aveva scritto senza mezzi termini che proprio la Costituzione, in virtù del principio di separazione fra i poteri dello Stato a tutela della democrazia, non permette alla magistratura di indagare su scelte fatte dal potere esecutivo nell’interesse della difesa dei confini, altro tema costituzionalmente garantito.

Tralasciando le questioni etiche sulle quali si potrebbe serenamente parteggiare per i poveri migranti provando, empaticamente con loro, tristezza o rabbia per come sono stati trattati, la questione diventa ben più grave e rilevante sul piano giuridico e politico. L’obbligo di salvare vite è un obbligo etico prima che giuridico, ma esiste un obbligo giuridico successivo al salvataggio che possa superare la Costituzione e porsi al di sopra della divisione dei poteri dello Stato?



A “coprire le spalle” ai magistrati ed alle loro valutazioni è un altro principio costituzionale, quello del libero convincimento. Ma il tribunale di Catania è un luogo particolare dove da anni si consuma uno scontro politico forte fra correnti della magistratura. Correnti di pensiero politico prima ancora che giuridico. Uno scontro di cui si sono avuti altri esempi. Come l’inchiesta sull’allora presidente della Regione Raffaele Lombardo, che spaccò la procura trasversalmente fra chi voleva archiviare e chi no. Ci furono pm esautorati dall’incarico e giudici “terzi” che decisero in maniera opposta a distanza di mesi. Un processo che va avanti fra condanne e annullamenti.

Oppure come la vicenda del magnate della stampa Mario Ciancio Sanfilippo, direttore ed editore de La Sicilia e di interi gruppi televisivi oltre che imprenditore a tutto tondo. Accusato di contiguità mafiosa, prima archiviato, poi assolto, poi di nuovo indagato e destinatario di un sequestro di tutti i beni. Anche lui al centro di un “confronto” fra magistrati.

E da Catania, proprio da Catania, partì la prima indagine sul ruolo delle Ong e sui rapporti con i trafficanti di uomini. Il procuratore Zuccaro fu costretto a fermarsi perché le navi battevano bandiere straniere e operavano fuori giurisdizione, e anche il materiale intercettato sui canali internazionali non era utilizzabile in Italia per difetto di giurisdizione. A quell’indagine ne seguirono altre sullo smaltimento dei rifiuti, sugli appalti nei porti e così via.

Quella stessa procura chiese l’archiviazione perché anche le scelte di Salvini sono, per motivi diversi e costituzionalmente sanciti, non sindacabili dalla magistratura. Sbatte, però, contro la corrente opposta, che una volta vede i confini italiani non superabili in uscita, un’altra inesistenti in entrata, sempre sotto il profilo giurisdizionale. Libero convincimento il primo, libero convincimento il secondo. Ma fuori dal palazzo ci sono le parti politiche che plaudono a questo e a quel convincimento.

Se etica ed empatia ci fanno sperare che si possa tornare, come popolo, ad essere un po’ più umani, logica e rischi legati a questa scelta giuridica potrebbero metterci in guardia sulle conseguenze di un percorso che rischia di portare a cassare, per via giudiziaria, alcuni principi costituzionali. A meno di non derubricare tutto proprio all’ennesimo scontro politico nel Paese, nel Parlamento, nella magistratura.

Manlio Viola è direttore di blogsicilia.it