“Perché dici che il tuo non è un libro?”. E’ la domanda con cui Elisabetta Soglio e responsabile dell’inserto Buone Notizie del Corriere della Sera apre il confronto con Enrico Letta nella sala affollata del Palazzo delle Stelline di Milano, dove l’altra mattina l’ex premier – e attuale direttore di Sciences Po – ha presentato Ho imparato (edizioni Il Mulino), il suo ultimo lavoro.



Così è subito il diretto interessato a spiegarci il senso di quest’incontro. “Mi faceva piacere raccontare alle persone con cui condivido idee e tanti progetti fatti insieme la genesi di questo libro e anche qual è l’obiettivo per cui l’ho scritto. Nei mesi scorsi tutti noi, mi riferisco a chi come me in questa sala ha a cuore le sorti dell’Europa, ci siamo detti ‘bisogna fare qualcosa’. Allora ho pensato che forse potevo mettere insieme delle idee e condividerle. Ma un libro normale avrebbe parlato a quelli che sono già d’accordo con me. E allora? Era necessario che mi inventassi qualcosa di diverso”.



Nasce così l’operazione Instagram. Superare il vecchio modo di comunicare e aprirsi ad altri canali, accettandone le regole. Non certo guardando a Twitter, che è ormai una roba da vecchi. Ma ad Instagram, il social network oggi usato da milioni di giovani per mostrarsi e guardare, dove prevalgono contenuti di ispirazione lifestyle (moda, design, viaggi) e non certo la politica. Ma Letta ci prova lo stesso a rendere gli argomenti di un libro politico storie per Instagram. Così un capitolo è stato trasformato in una decina di video della durata di poco meno di un minuto. Il tentativo è quello di provocare una riflessione. “Senza mettere i vari mezzi di comunicazione in contrasto. Bensì facendoli sposare tra di loro”. Letta è entusiasta della sua scelta, non solo perché la notizia è circolata rapidamente ma anche perché ha provocato reazioni.



“La lettura di un libro non è l’attività più diffusa nel mondo di oggi, per cui questo è già un risultato considerevole” sottolinea soddisfatto.

Gli chiede a questo punto Elisabetta Soglio: “Ma i social non impongono una comunicazione aggressiva? E tu, caro Enrico, non sei l’ultimo politico ‘molle’?”.

“Il libro non è un libro nostalgico – risponde Letta – né io sono un nostalgico della Prima Repubblica. Sostengo da tempo che prima era molto più facile fare politica ad un certo livello, un leader politico era sì esposto alla visibilità di tutti durante la sua giornata di lavoro ma per un lasso di tempo relativamente breve, oggi lo è praticamente sempre, h24. La cosa rende tutto molto più complicato. Mitterrand ha vissuto con due famiglie diverse per decenni senza che nessuno se ne accorgesse o ne facesse semplicemente cenno, oggi questo sarebbe impossibile. La foto della firma dei trattati di Roma nel 1957 rivela – come ricordo nel libro – una politica fatta solo da 82 maschi bianchi, tra i 50 e gli 80 anni. Non era certo lo specchio della società dell’epoca”.

“Oggi disponiamo di nuovi mezzi ed enormi sono le potenzialità per far fare un salto positivo alle nostre società e alla politica: bisogna saperli usare. Questi strumenti sono tutti in mano ai nuovi movimenti. Sanno usarli meglio. Ma l’aggressività di cui tu parli si trasforma nella volontà di distruggere l’altro, e questa volontà negativa ritorna addosso a chi l’ha generata, in un ciclo sempre più breve. Così  ‘le lune di miele’ politiche durano sempre di meno. Basta guardare cosa è successo a Macron”.

“Il mancato riconoscimento e l’assenza di dialogo con il tuo avversario è alla base del generale decadimento della politica. Il rispetto degli altri è invece la base necessaria per una risalita, lenta ma inevitabile, della civiltà del confronto. Devo dire che più di tutte mi ha colpito l’ascesa di Trump. In principio fu sottovalutato, considerato un fenomeno da baraccone, insomma ‘un’americanata’. Eppure oggi possiamo dire che Salvini non ci sarebbe senza Trump. Se vogliamo chiederci quale sarà l’evento più importante nei prossimi 5 anni dobbiamo dire senz’altro l’eventuale rielezione di Trump. Se ciò dovesse accadere finirà anche l’Europa, che si schiererà dall’altra parte. Ricordo che nel 2016 abbiamo fatto una giornata di lavoro con 500 studenti americani a Parigi. La metà dichiarò il proprio voto per la Clinton, l’altra metà per Sanders. Uno – uno solo – disse Trump. Eppure il centro della scena era già tutto per il nuovo presidente americano. La verità è che c’è un po’ di Trump in tutti noi.”

“La democrazia rappresentativa così com’è non funziona più – continua Letta, senza più bisogno di domande – quindi o evolve dall’interno o verrà spazzata via. Oggi il tema è il tempo. Non esistono più i ‘tempi’ a cui eravamo abituati nel passato: possiamo permetterci 6 mesi senza un governo? In questi ultimi anni è stato possibile in Germania, in Belgio, in Italia. Cosa significa questo? Che la gente si muove fuori dalla democrazia, vive e decide lo stesso. Però così si modifica la percezione della legittimazione e i parlamenti diventano immobili. Ci vogliono tempi certi, regole che impongano il loro rispetto, ‘tagliole’. Ma anche elezioni più frequenti, in grado di dare vita a decisioni concrete. La legge elettorale è stata ed è uno dei guai principali del sistema italiano. Il cittadino non sceglie più i suoi eletti. Da decenni ormai il potere in Italia è totalmente in mano a 5/6 persone grazie al meccanismo delle liste bloccate. Forse è questa la ragione principale del successo dei 5 Stelle. I cittadini che volevano provare a dire la loro o ad impegnarsi hanno trovato aperta solo quella via”.

“Parlare di queste cose non rende simpatici. Non votai l’Italicum – ricorda a questo punto Letta – e questa scelta ha accelerato la mia uscita dalla politica, l’uscita da casa mia, dal Pd. Non si va avanti a colpi di fiducia, non si dovrebbe farlo mai. La frase di Casaleggio ‘fra 20 anni non ci sarà più il parlamento’ va presa sul serio perché è vera. E’ un monito per chi crede ancora nella democrazia”.

“Molti inglesi, soprattutto giovani, si lamentano oggi della Brexit, ma essi stessi ammettono di aver sottovalutato il problema, di non aver neanche votato. Brexit è la dimostrazione di cosa succede quando si danno tutte le colpe all’Europa e la verità storica viene meno. Ora le colpe dell’Europa sono tante, a cominciare dal modo in cui ha gestito l’immigrazione. Ho scritto nel libro che serve un super Mario Draghi, in grado di muoversi con autorità. Questo è il punto: quelli che credono nell’Europa devono rivendicare maggiore autorità. Guardiamo ai notevoli risultati ottenuti sulle politiche ambientali. Non sta arrivando la fine del mondo, e dobbiamo riconoscere gli enormi passi avanti fatti con i nostri comportamenti individuali. La cultura della lotta allo spreco o il nostro comportamento di consumatori responsabili hanno modificato in meglio tutti gli indicatori ambientali. Sono argomenti a favore dell’Europa, delle sue regole. Abbiamo raccontato male l’Europa in questi anni, e se ora non cambiamo la percezione del valore dell’Unione, la battaglia la perdiamo. La battaglia principale è quindi culturale e il mio libro è un inno alla necessità di imparare, di conoscere, è un tentativo di dimostrare cosa succede quando si danno tutte le colpe all’Europa. Dobbiamo vincere questo sentimento di ‘nostalgia’ del passato che sta dilagando. Sono quattro i paesi che hanno prosperato nel secondo dopoguerra: Italia, Francia, Gran Bretagna e Stato Uniti hanno goduto di un lungo periodo di prosperità e di benessere. E sono proprio questi i paesi dove attualmente il sentimento di ‘nostalgia’ secondo cui si stava meglio 50 anni fa prevale, insieme alla paura del progresso e alla sfiducia nel futuro. Non è un caso che in questi paesi sia così forte l’ondata di chiusura politica e culturale verso il nuovo. L’Asia 30 anni fa era il 15% della ricchezza del mondo, fra 30 anni rappresenterà più del 50%. In 25 anni la Cina ha tolto 500 milioni di persone dalla soglia della fame. Sono dati enormi che ci spingono ad essere positivi, ottimisti”.

Quindi ottimismo, voglia di combattere, idee nuove: cosa farà allora Enrico Letta nei prossimi mesi? “Sono un cittadino normale, che lavora e che pensa. E continuerò a dare battaglia perché la verità storica e la cultura ritornino ad avere il sopravvento”.

(Antonio Napoli)