Lo stato confusionale del Pd alla ricerca di un leader è fotografato in modo impietoso dall’affannosa rincorsa a salire sulla Sea Watch, visto che fra i primi tre parlamentari a farlo i democratici brillavano per la loro assenza. Da qui l’idea, tardiva, della staffetta a bordo sino a quando ai migranti non verrà consentito di scendere. Nei circoli, intanto, si vota per il futuro segretario, le prove generali della sfida vera, quella delle primarie fissate per il 3 marzo.



Sui dati parziali della consultazione fra gli iscritti si è scatenata un’accesa zuffa interna, ma se si ritengono attendibili quelli raccolti da Youtrend nettissimo è il vantaggio del governatore laziale Zingaretti sull’ex ministro delle Politiche agricole Martina, che non è riuscito a prevalere neppure nella sua Lombardia. Terzo, staccatissimo, il duo renziano Giachetti/Ascani. Zingaretti sarebbe intorno alla maggioranza assoluta, e questo non può che lanciarne la corsa verso la segreteria, visto che Martina, unico vero competitor, non sembra certo in grado di trascinare le folle verso una fantasmagorica rimonta nelle urne delle primarie.



Si allontana quindi lo spettro della corsa senza un vincitore netto, con tutti i suoi corollari di possibili manovre nell’assemblea congressuale per tagliar fuori il più votato. I diretti interessati smentiscono un patto spartitorio che vedrebbe Martina vice di Zingaretti, ma il solo fatto che da giorni circolino queste voci per i corridoi del Nazareno fa capire che il finale è già scritto.

Lecito domandarsi che Pd sarà quello targato Zingaretti, che decollerà a marzo. Davanti a sé il fratello del commissario Montalbano si troverà un caso difficile da risolvere: chi ha ucciso la speranza di un partito capace di riunire il meglio delle due correnti di pensiero che maggiormente hanno segnato la Prima Repubblica, il cattolicesimo democratico e quella sinistra che ha saputo reinventarsi dopo il crollo del Muro di Berlino. Il primo indiziato di colpevolezza, Matteo Renzi, sta alla finestra, sornione. I suoi fedelissimi si sono sparpagliati fra le tre mozioni principali, fra Zingaretti, Martina e Giachetti. Il modesto risultato di quest’ultimo (poco più del 10 per cento nelle sezioni) non deve trarre in inganno, dal momento che sarebbe erroneo valutare così il peso dei renziani. Non si dimentichi che Martina partiva da renziano, ma che renziani come Minniti alla fine si sono schierati con Zingaretti.



L’ex premier rimane comunque il convitato di pietra del congresso democratico. Alla sua gestione Zingaretti non ha lesinato critiche. Aver cercato di agganciare la modernità a tutti i costi è costato caro, il divorzio con le fasce più basse dell’elettorato. Per recuperare, la scelta obbligata di Zingaretti è spostare il Pd a sinistra. Decisivo sarà saper costruire un dialogo con la nuova Cgil targata Landini, che si prefigge come obiettivo tornare sulle barricate dello scontro sociale per smantellare quella legislazione che ha compresso i diritti dei lavoratori negli ultimi anni. E che, ironia della sorte, era tutta targata Pd, a cominciare dal Jobs act, provvedimento bandiera del renzismo.

Assisterà immobile l’ex segretario a una conversione a U del suo partito, oppure si metterà di traverso? È questa la prima incognita che Zingaretti si troverà di fronte. La spada di Damocle rimane sempre quella della scissione per dare vita a un partito tutto renziano, che sarebbe una sconfitta enorme per il nuovo corso democratico, se non proprio la pietra tombale su questa esperienza politica.

Ma anche ammettendo che Renzi non abbia la forza di capitanare una scissione, c’è un’altra sfida che attende Zingaretti, ed è quella di non lasciare sguarnito il centro nel momento in cui dovrà pilotare l’inevitabile virata a sinistra del Pd. Se l’operazione non sarà accorta, la prima forza di opposizione lascerà sguarnita un’area centrale in cui potrebbe esserci spazio persino per una formazione di centro, anche perché in un partito più spiccatamente di sinistra qualche esponente di formazione cattolica potrebbe finire per sentirsi a disagio.

Trovare un equilibrio accettabile è la grande scommessa che attende Zingaretti. Tenere insieme tante anime, da Calenda a Landini, a Renzi, non sarà affatto facile.