“Abbiamo sostituito la centralità del lavoro e l’equa distribuzione del reddito con la sovranità dei consumatori e soprattutto delle imprese e dei mercati. Servirebbero riforme sostanziali per ricostruire un contratto sociale condivisibile da tutti e ristabilire un equilibrio accettabile fra capitalismo e democrazia”. Un mantra di molti, anzi quasi tutti, di questi tempi: sia che venga pronunciato in attacco, da qualche picconatore populista, sia in difesa, da qualche élite sotto assedio dopo la resistibile affermazione della globalizzazione.



Nell’occasione – ieri nei commenti di Repubblica – la raccomandazione è venuta da Vincenzo Visco. Di cui era riportato in pagina il dettaglio del curriculum politico: ministro delle Finanze nel governo Ciampi (1993) e nei governi Prodi e D’Alema (dal 1996 al 2000), ministro del Tesoro nel governo Amato (2000-2001) e quindi viceministro dell’Economia nel governo Prodi 2 (2006-2008). Nessuno può dubitare dell’onestà intellettuale e politica da parte di un economista rigoroso, formatosi nella scuola del Pci, protagonista della sua lunga transizione fino al Pd.



Quando tuttavia Visco verga qualche migliaio di battute per denunciare il multiforme “malessere sociale” dell’Italia 2019, qualche domanda è lecita. La decisione di aprire il Paese alla “sovranità dei mercati e delle imprese” – storicamente sintetizzata dall’ingresso nell’euro – è stata assunta dai governi dei quali Visco ha fatto parte con ruoli di massima responsabilità in campo economico. Passaggi di trasformazione epocale, come la riforma bancaria del 1990 e la grande campagna di privatizzazioni, furono concepiti e condotti dai premier di Visco: Amato, Ciampi e Prodi. Dal direttore generale del Tesoro, Mario Draghi, di cui Visco è stato diretto superiore politico. Da Massimo D’Alema – primo e unico leader del Pci ad approdare a Palazzo Chigi – fu attivamente patrocinata la “madre di tutte le Opa” su Telecom. Fu il centrosinistra storico – sempre più fuso con la tecnocrazia globalista – a combattere mortalmente il governatore “sovranista” della Banca d’Italia, Antonio Fazio: che denunciava i rischi dell’iperfinanziarizzazione dell’economia, in particolare le asimmetrie crescenti della Ue reale, diversa da quella predicata. Anche da Visco: forse meno irriducibile di Mario Monti, ma apparentemente incapace di andare oltre l’autocritica togliattiana. Che alla fine  prendeva sempre di mira le colpe altrui.

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