La recente riflessione di padre Antonio Spadaro su Avvenire (“Ritornare a essere popolari: ecco le sette parole del 2019”, 3 gennaio 2019) apre il nodo profondo e vero della politica italiana del momento: il bisogno delle forze politiche di riconnettersi con il popolo, con la gente comune, senza assecondarne però gli istinti peggiori, di rabbia e ostilità verso l’altro uomo.



Proprio nello sforzo di tale riconnessione, forse occorre cercare di essere più concreti con i problemi dell’Italia e dell’Europa in questo momento.

Il primo è quello della velocità supersonica imposta alla comunicazione attraverso le piattaforme della nuova tecnologia, come ha rilevato anche Claudio Cerasa su Il Foglio (“Contro la dittatura dell’istante”). Messaggi brevi, a effetto, esplosivi, ci bombardano in ogni momento in una fuga ansiolitica, restando però come un’eruzione di bolle di sapone; confondono la vista per un istante, possono far perdere l’orientamento al distratto, ma non sono altro che bolle di sapone.



La raffica di battute non sostituisce la strategia, che è quello che la gente e le nazioni vogliono, così come una batteria di caffè non sostituisce dei pasti ben strutturati. Il problema è che finora l’offerta è stata solo di caffè, da tutte le parti politiche, e nessuno fornisce antipasto, primo, secondo e dolce. Mancano strategie politiche strutturate e quindi, in mancanza di cose solide, i rapidi caffè-tweet trionfano.

Sperare che questo lo facciano i vecchi partiti Forza Italia (FI) e Partito democratico (Pd o le sue frazioni) è utopico. Semplicemente, come provano i sondaggi, la gente non ci crede più. Lo possono fare i due partiti al governo, M5s e Lega, o qualche formazione nuova che possa emergere nel prossimo futuro.



Certo una cosa è fare caffè-tweet, come sono abituati a fare M5s e Lega, altro è fare un pranzo di quattro portate e 4mila calorie, cioè strategie di medio e lungo termine. Ma questo occorre.

L’altro elemento è un problema vero, che ha creato il fallimento della vecchia politica e la ribellione dei populismi attuali e la bomba del Brexit. Il problema è l’inadeguatezza delle strutture europee, che sono da vent’anni in mezzo a un guado tra Stato e non-Stato, lacci di mille tipi, ma anche deresponsabilizzazione di fronte a certa politica locale.

La risposta più ovvia a questo stato di cose è che dopo venti anni di attesa (prova della pazienza degli europei!) moltissimi in Europa non vedono una via chiara davanti e quindi vogliono tornare indietro.

Qui c’è un problema strutturale che andrebbe affrontato. Le burocrazie di Bruxelles sono eccellenti, tra le migliori del mondo, ma ciò non toglie che abbiano una tara profonda: non rispondono a un potere politico chiaro, sono di fatto largamente autoreferenziali.

Il parlamento europeo è eletto ma è senza poteri. La Commissione è nominata dai governi nazionali, quindi con due-tre gradi di distanza dall’elettorato. Il voto nazionale nomina parlamenti che nominano governi che nominano rappresentanti alla Commissione.

Infine c’è il Consiglio di Europa, che in realtà è un grande mercato di baratti politici. Qui i capi di governo negoziano volta per volta i propri interessi nazionali con altri interessi nazionali, un po’ come una specie di Onu efficiente, ma non c’è uno spirito europeo, non c’è, per usare gli argomenti di padre Spadaro, un’idea di popolo europeo, ma di vari popoli nazionali che compongono le loro controversie attraverso i loro rappresentati.

Questo dà potere alle burocrazie, che potranno prendere le decisioni migliori del mondo ma vivono con un debito di democrazia, vale a dire non hanno il problema di creare consenso, adesione popolare alle loro politiche. Giuste o sbagliate, la gente non le sente proprie.

Di fatto c’è un debito profondo di democrazia in Europa che deriva anche da questioni strutturali profonde della democrazia attuale. La democrazia moderna del Settecento in Inghilterra era pensata per gruppi piccoli (votavano i possidenti maschi, forse qualche decina di migliaia di persone, poco più che l’agorà ateniese). C’erano tempi medio-lunghi, i bollettini delle notizie circolavano nello spazio di settimane se non di mesi. Oggi i votanti sono centinaia di milioni e le informazioni viaggiano sui minuti, se non sui secondi. È chiaro quindi che la democrazia di ieri non può essere quella di oggi. Ma il problema di fondo rimane uguale: la gente che subisce le decisioni deve essere chiamata ad aderirvi, altrimenti gli europei da cittadini ritornano sudditi e quindi come tali, insoddisfatti, chiedono la rivoluzione.

Qui sta il punto: il ministro tedesco eletto in Baviera non guiderà il suo ministero pensando barattare gli interessi della sua Baviera contro quelli della Sassonia, reggerà pensando al bene di tutta la Germania. Così però non è in Europa, perché l’ambito nazionale resta quello che conta.

Anche le elezioni al parlamento europeo sono condotte non da partiti pan-europei, ma da partiti nazionali che si incontrano alla rinfusa a Bruxelles. Era un compromesso per una fase di passaggio, ma alla lunga non può funzionare e infatti non sta più funzionando.

Questo è il problema che va affrontato di petto altrimenti tutto crollerà, come di fatto sta avvenendo. A marzo il Brexit, che riesca o meno, sarà uno squarcio nell’anima dell’Europa. A fine maggio ci sarà un’avanza dei sovranisti. Le risposte finora sono state difensive, non hanno affrontato il problema del debito politico del continente.

Francia e Germania hanno presentato una proposta di riforma per una maggiore unione economico-finanziaria. La proposta è ottima, è un passo avanti, ma è un passo sufficiente? Manca l’unione politica e sociale che la gente sente a livello nazionale. È poi un passo adeguato? Non si direbbe, perché le briglie economico-finanziarie, crude e crudeli, prive di afflato spirituale e di cultura, sono alla base della crisi attuale.

L’Italia ha presentato un programma diverso, con Paolo Savona, forse più articolato, forse meno lineare, ma ponendo chiaramente la questione dell’unità politica. Forse le due idee di riforma possono essere combinate, diventare base di discussione per avanzare presto la questione di una maggiore unione.

Infine la questione internazionale. Nessuno vive da solo e tanto meno l’Europa e gli europei, che sono nati su spinta e ispirazione dell’America dopo due massacranti conflitti mondiali. La questione europea è alla fine anche un problema di rapporti tra Ue e Usa e se unione politica in Europa deve esserci non può prescindere, anzi deve essere in coordinamento con gli Stati uniti. Pensare di ignorare Washington su questo sarebbe puerile.