Sui media invasi dai sindaci pronti – soprattutto al sud – alla disobbedienza contro il decreto Salvini, ha trovato spazio limitato o nullo un’importante notizia politica maturata all’estremo nord della penisola. Sabato a Bolzano Svp e Lega hanno formalizzato un accordo per governare la Provincia autonoma dopo il voto dello scorso 21 ottobre.



Al rinnovo amministrativo in Trentino e Alto Adige – prima verifica nazionale di peso dopo le elezioni politiche di marzo – il partito etnico sudtirolese ha difeso a fatica la soglia psicologica del 40% nella sua Provincia, perdendo però quattro punti rispetto al 2013. Il Pd, partner di maggioranza nell’ultimo quinquennio, ha quasi dimezzato i suoi voti, scendendo sotto il 4% (il vicepresidente uscente Christian Tomassini non è stato rieletto). Era stato proprio nel “ridotto alpino” di Bolzano che il 4 marzo il Pd era riuscito a far rieleggere in parlamento Maria Elena Boschi, grazie all’appoggio decisivo della Svp.



La Lega – che nel 2013 aveva riportato il 2,5% in una lista allargata di centrodestra – ha invece superato l’11% ed è divenuta il primo partito a Bolzano città (28%), tuttora pilotata da un sindaco Pd. Il partito guidato da Matteo Salvini si è imposto nel contemporaneo voto in Provincia di Trento, strappando al centrosinistra la guida della giunta. Non sono stati gli unici scossoni registrati il 21 ottobre: in Alto Adige è subito balzato al 15% il neonato Team, formazione animata dall’imprenditore Paul Koellensperger, attivista dissidente di M5s a Bolzano. Depotenziati da questa defezione, i pentastellati non sono andati oltre il 2,4%, mentre gli stessi Verdi, di radicata tradizione nell’area, non hanno beneficiato dei sommovimenti in corso.



Il patto siglato a Bolzano da Arno Kompatscher (il leader Svp che continuerà a guidare la Provincia) e dal proconsole della Lega Roberto Calderoli era un esito pronosticato fin dall’inizio dalla maggioranza degli osservatori. La Svp non poteva permettersi di ignorare la nuova forza italiana egemone non solo in Provincia di Bolzano, ma nella Regione Autonoma Trentino-Alto Adige, il cui consiglio rimane formalmente composto dai due consigli provinciali. Tuttavia non era sbocco scontato, come ha provato anche il passaggio finale della trattativa. Nell’ambito del progetto di ridimensionamento del Senato nazionale la Lega si è impegnata a difendere l’attuale rappresentanza dell’Alto Adige: tre senatori (la stessa garanzia era stata data dalla Boschi nel progetto di riforma istituzionale Pd bocciato dal referendum 2016). Calderoli si è detto aperto anche a un rafforzamento delle competenze della Provincia in materia ambientale, nel quadro degli sviluppi in corso nel campo dell’autonomia delle Regioni ordinarie.

Il rilievo del “patto di Bolzano” sembra in ogni caso andare oltre i confini locali. La Lega ha confermato di sapersi aprire spazi elettorali importanti (all’altezza dei sondaggi correnti) contro forze tradizionali di governo, ma soprattutto di saper gestire politicamente i successi. E la stessa duttilità che ha prodotto la “strana maggioranza” gialloverde a Roma è emersa in modo efficace a Bolzano, in un contesto fors’anche più insidioso rispetto al confronto con il M5s “meridionalista”. Nessuno può infatti dimenticare l’accidentato sviluppo recente delle relazioni “altoatesine” fra Italia e Austria.

Salvini, vicepremier-ministro dell’Interno italiano e leader sovranista europeo, si è dovuto più volte confrontare con il premier austriaco Sebastian Kurz: un leader della destra xenofoba che non ha esitato a schierare le truppe al Brennero per impedire sconfinamenti di migranti sbarcati in Italia. E Vienna – che ha retto la presidenza Ue nei primi sei mesi del governo Conte – non ha mai supportato Salvini nella richiesta di una ridiscussione degli accordi di Dublino in direzione di una più effettiva redistribuzione dell’accoglienza. Kurz si è invece appiattito sulla Germania, spaccata al suo interno sulla questione migranti e preoccupata dal focolaio populista divampato a sud delle Alpi. Ancora: nel mezzo della transizione politica in Italia, il cancelliere austriaco ha gettato sul tavolo la proposta quasi provocatoria di assegnare “doppio passaporto” agli altoatesini di lingua tedesca.

È ovviamente presto per affermarlo, ma il “patto di Bolzano” sembra ora portare un chiarimento non da poco fra “sovranismi” confinanti e politicamente omogenei nell’Ue. Se il “patto di Bolzano” è uno dei primi eventi politici del 2019 in Europa, la campagna elettorale per il rinnovo dell’europarlamento sta entrando nel vivo. E non è passata inosservata, sempre in queste ore, la nuova apertura del cancelliere tedesco Merkel su una possibile rivisitazione delle politiche Ue sull’immigrazione. Pur ammaccata e declinante, la “cancelliera d’Europa” sembra rendersi conto che con “l’Italia di Salvini” – nei fatti diversa dalla maggioranza gialloverde – Berlino e Bruxelles non possono confrontarsi a colpi sprezzanti di procedure tecnocratiche d’infrazione sui conti.

Il profilo domestico rilevante è sicuramente la conferma della strategia autonomista di lungo periodo della Lega. Lo stesso partito che si sta battendo per l’autonomia rafforzata di Lombardia e Veneto ha mostrato un rispetto pieno per la “super-autonomia” (soprattutto finanziaria) operante in Alto Adige fin dal 1972, in applicazione dei trattati di pace della Seconda guerra mondiale. Lo ha fatto amministrando il Viminale con il proprio leader nazionale e ne ha ricevuto in cambio una legittimazione da parte di una Svp che in passato si è sempre scontrata con l’italianismo della destra post-fascista. Sembra esserci dell’altro: il partito sudtirolese condivide con la Lega “lombardo-veneta” più di un valore socio-economico di base, che nel secolo scorso era humus comune con la Dc “degasperiana” di Trento. Un humus ”centro-europeo” distinto da quello rappresentato da M5s nell’Italia del Sud.

A Bolzano resta per ora all’opposizione la novità Team: che è sembrata portare in Italia la spinta anti-sovranista canalizzata in Baviera dai Verdi. Consensi coagulati soprattutto fra i ceti medi imprenditoriali e professionali di nuova generazione: delusi in Germania dalla Spd, in Italia dal Pd (e forse già anche da M5s).