“Non vedo estremi di reato commessi dal personale della Sea Watch nel salvataggio effettuato in acque tunisine. C’era rischio di affondamento, dunque per le vite umane non si ravvisava intervento delle autorità (libiche, ndr) che avrebbero dovuto operare nelle zone e l’aver fatto rotta verso l’Italia era giustificato dal maltempo”.
Le parole usate non sono esattamente queste, la forma è ben più lunga e articolata ma la sostanza, a poche ore dallo sbarco dei migranti della Sea Watch a Catania, il procuratore etneo Carmelo Zuccaro, lo stesso che indaga sulle Ong che operano in maniera irregolare, ha chiarito che in questo caso estremi di reato non ce ne sono.
Una grande lezione di civiltà politica e giuridica esce dalle sue parole. Nonostante la vulgata dicesse che la Sea Watch fosse stata inviata a Catania a sbarcare perché lì c’è una procura che indaga sulle Ong, un magistrato ha dimostrato ha lanciato un chiaro messaggio: qui non si indaga su una parte politica ma si indaga sui reati, quando ci sono.
La vicenda della Sea Watch, così, entra a pieno titolo nelle valutazioni giornalistiche su un’altra vicenda di immigrazione e stop ai flussi: il caso Diciotti. Appena alcuni giorni or sono, che oltre allo scontro politico fosse in corso uno scontro interno anche alla magistratura era apparso chiaro in Sicilia e poi era stato reso chiarissimo dalle polemiche interne al Csm. E la scelta di Zuccaro, adesso, sembra dare una sferzata anche ai contrasti interni alla magistratura. Lavorando sui reati da Catania parte anche, simbolicamente, un dito alzato verso il naso a indicare con un “cenno del silenzio” a tutti il comportamento da intraprendere. La Sea Watch resta ferma per questioni amministrative ma quelle sono storia diversa. A Catania arriveranno anche gli ispettori olandesi, visto che la nave batte bandiera di quel Paese, e le questioni amministrative e di sicurezza si risolveranno fuori dai tribunali probabilmente.
D’altronde una giustizia troppo martoriata dalle indagini su tanti, troppi magistrati “presunti corrotti” in Sicilia (dal caso Saguto e beni confiscati al caso del giudice fallimentare che avrebbe evitato il fallimento del Palermo calcio nel capoluogo, dagli arresti di ex presidenti di Cga e Consiglio di Stato ed avvocati fra Roma, Palermo e Messina, ai pm intercettati di Siracusa) non può permettersi il lusso di farsi tirare per la giacca dentro uno scontro che sta dividendo in due il Paese. Ha bisogno di essere terza, di recitare il ruolo che la Costituzione le ha assegnato, di essere potere dello Stato ma di garanzia per il cittadino contro la sopraffazione.
Ed il silenzio a Catania in questi giorni contraddistingue tutti. Lo scontro politico lo facciano altrove, qui si parla con gli atti. E forse, in silenzio, si spera che la giunta per le autorizzazioni levi tutti di imbarazzo dicendo no e lasciando che sia la politica, poi, a scontrarsi sui perché di quel no. In fondo se andasse così alla magistratura siciliana andrebbe anche bene. C’è una procura che ha già messo nero su bianco una richiesta di archiviazione in ossequio al principio costituzionale di separazione dei poteri fra esecutivi e inquirente. C’è un tribunale dei ministri che ha chiesto ugualmente di processare un ministro in ossequio al libero convincimento che l’azione del vicepremier in quanto dettata da scelte politiche e non da procedure amministrative possa essa stessa costituire reato per come disposta ed eseguita. E c’è un governo che ha detto alla giunta che non intende farsi mettere all’angolo così.
Un normale scontro politico istituzionale che agita il Paese in giorni, settimane, mesi difficili. Normale se di mezzo non ci fossero vite umane. Vite umane che, però, agitano le nostre coscienze ma non sembrano agitare quelle degli altri cittadini europei. Almeno non quanto le nostre. Che si sia con o contro Salvini resta in piedi sempre il dualismo fra Italia ed Europa. Perfino per i cugini francesi il tema sembra lontano. D’altronde fra cugini si litiga spesso e questo sembra proprio il momento della lite. Non che negli anni si sia andati poi molto d’accordo. Prima governavano sguardi di sfottò, ora scontri diretti nei quali noi italiani restiamo comunque bravissimi a prenderci sempre ogni colpa…