“Per un verso, come già nel 1919, oggi Sturzo si rivolgerebbe in prima battuta ai credenti, ai cattolici, cioè al tessuto aggregativo della comunità ecclesiale. Non dimentichiamo che Sturzo arriva al Partito Popolare da segretario nazionale dell’Azione Cattolica. Però, al tempo stesso, oggi come allora, si rivolgerebbe a tutti coloro che possono convenire su un programma di progresso civile. Il suo Appello non è rivolto ai cattolici, ma a tutti i “Liberi e Forti”, e usa il termine “cooperare”, che ci aiuta a comprendere che si può partire dal contesto cattolico, ma solo se sappiamo andare oltre, allargare ad altri. Oggi, potremmo dire, i “Liberi e Forti” sono tutti coloro che possono convenire su alcuni aspetti del coesistere per la creazione di una società, di una politica, di istituzioni più giuste, più eque, più libere, più solidali”. Alla domanda “Chi sono oggi i Liberi e Forti e a chi oggi Sturzo rivolgerebbe il suo appello?” risponde così Matteo Truffelli, presidente nazionale dell’Azione Cattolica, che ha partecipato di recente al convegno svoltosi a Palermo per il Centenario del Partito Popolare.



Di quell’appello di cento anni fa, oggi che cosa si può recuperare?

Tutti i 12 punti sono di grande attualità. Uno su tutti aveva grande rilevanza allora e la conserva anche oggi: l’importanza della dimensione internazionale e della pace. Un tema che non possiamo trattare come se potesse fare da appendice agli altri: è questione decisiva nel nostro tempo, che è tempo di “guerra mondiale a pezzi”, in cui magari ci accorgiamo della violenza che c’è solo quando ci tocca direttamente, quando coinvolge una qualche capitale del mondo occidentale. Sturzo ci insegna che nessuna realtà può bastare a sé stessa, nemmeno da questo punto di vista.



L’attualità di Sturzo può avere due risvolti per i cattolici: o l’impegno politico diretto, con tutte le sue variabili giunte fino ai giorni nostri, o l’impegno sociale, con tutte le forme che sono nate nel tempo. Oggi di cosa si avverte di più la mancanza?

Credo che occorra fare uno sforzo per superare una categoria che rischia di bloccarci dentro questo dibattito: la categoria del cosiddetto prepolitico, secondo cui tutta una serie di dimensioni di formazione, impegno, attività concreta sono confinate a qualche cosa che non apparterrebbe al politico. Mentre noi siamo convinti che abbiano una dimensione fortemente politica. Abitare un quartiere, impegnarsi per migliorare la convivenza civile, è attività politica. Formare al senso critico e alla passione per il bene comune è politica. È importante ribadirlo, perché spesso si crede che solo l’attività che si fa nei palazzi di Roma sia politica.



Ma non pare che abbia molto ascolto in quei palazzi.

Sicuramente in quei palazzi, in questo momento, il cattolicesimo organizzato è sotto-rappresentato. Un dato che è legato anche al crescente isolamento della politica rispetto al mondo sociale organizzato: la politica oggi pare sempre meno interessata a un’interlocuzione seria con i corpi intermedi. Dall’altro lato, è responsabilità del mondo cattolico non riuscire sempre a tradurre politicamente la grande vitalità che lo caratterizza, fatta di una pluralità di esperienze, competenze, idee.

Che vuol dire tradurre politicamente?

Vuol dire elaborare proposte buone per il Paese, sapendo offrire al contempo spazi di confronto al politico. In realtà alcuni esempi positivi ci sono. Per esempio, il percorso che ha portato al Rei, il reddito di inclusione, è stato emblematico. Ma se ne potrebbero citare altri.

Sì, ma oggi il consenso politico non si ottiene più attraverso i corpi sociali, piuttosto attraverso i social…

Attenzione, però, perché così è più facile averlo, ma anche più facile perderlo. Gli ultimi anni ci hanno dimostrato come siamo capaci di mettere sul piedistallo e abbattere in pochissimo tempo chiunque. Siamo in una società in fermento, e anche per questo volatile dal punto di vista del consenso.

Può citare un esempio?

Basti pensare alla dinamica che ha segnato il passaggio da Obama a Trump: sono entrate in gioco spinte emotive molto forti, legate alla paura, al bisogno di sicurezza, di difesa nei confronti del futuro.

Dunque?

Occorre affrontare queste dinamiche senza snobismi e senza timori. Occorre saper abitare anche quegli ambienti sociali in cui queste spinte si radicano, portandovi delle proposte buone e sapendo anche fare rete, non solo nella società, ma anche negli ambienti social.

A cosa si deve il ritorno negli ultimi mesi al dibattito sull’opportunità di un partito cattolico?

È un dibattito che c’era da tempo, più o meno latente, perché la nostalgia del partito dei cattolici rimane.

Rimane perché è buona o perché è comoda?

Quella democratico-cristiana è stata un’esperienza positiva per il nostro Paese. Ma è troppo comodo rifarsi a un’esperienza positiva dimenticando che era adeguata in un’altra epoca, un’epoca differente da quella attuale. In un altro contesto, come quello odierno, occorre avere creatività, per capire qual è lo strumento più adatto. È esattamente la lezione di don Sturzo, il quale, conclusa la fase dell’Opera dei Congressi, immaginò il Partito Popolare, uno strumento completamente nuovo e diverso, adeguato per quel contesto.

E oggi?

Oggi a noi è chiesto di capire quale strumento è utile non tanto per definire la presenza dei cattolici in politica, quanto per fare in modo che il patrimonio culturale, valoriale, di esperienze e di persone che c’è dentro il mondo cattolico possa servire al Paese. Ed è la ragione per cui questa questione è emersa con grande forza in questi mesi. Perché al di là dell’esito delle elezioni non si può non constatare che il nostro Paese sta attraversando una fase critica, di estrema conflittualità, di trasformazione del rapporto tra politica e cittadini, e in questa fase critica i cattolici non possono non sentire il dovere di portare un contributo importante.

Questo è quello che papa Francesco definisce “scendere in campo” e noi più banalmente “sporcarsi le mani”. Ma questo è un grosso rischio. Come superarlo?

In politica occorre sporcarsi le mani, ma occorre anche darsi delle regole, credere nel valore di quelle regole, che sono individuali e collettive.

Può indicarne alcune?

Per esempio, avere una professione prima di fare politica e alla quale tornare dopo, rinunciare al mito di “una persona sola al comando”, avere un’interlocuzione vera fra politica di partito e tessuto vivo della società, garantendo quelle forme di confronto che sono anche forme di controllo. Queste sono alcune delle strade che abbiamo a disposizione per evitare quei pericoli.

Ma questa assenza dei cattolici è più colpa dei cattolici che non sanno essere presenti o della politica che se ne frega dei cattolici?

Sono vere entrambe le cose. Il mondo cattolico è stato attraversato dalla difficoltà di parlare di politica al proprio interno. La paura di dividersi è stata, e forse è ancora, molto forte. Però sicuramente ci sono tantissimi cattolici che si impegnano con grande passione, con grande competenza e con grande rettitudine. Ma la politica di questi anni ha preferito ritirarsi dalla società, quindi anche da un coinvolgimento reale del mondo cattolico. Potremmo dire che è più la politica che si è ritirata dal mondo cattolico piuttosto che viceversa, perché non cerca una reale interlocuzione. Preferisce avere qualche personalità da coinvolgere e da “mettere in mostra”, ma un’interlocuzione seria no.

E’ ipotizzabile un ulteriore arretramento dei cattolici nel sociale, vista la scarsa incidenza che hanno? Per esempio, abbandonare alcuni settori tradizionali di presenza come la scuola non statale o il volontariato?

Non penso sia tempo di passi indietro, da questo punto di vista, ma di passi in avanti. La grande questione è capire attraverso quali forme e quali strumenti fare questi passi in avanti. Questa è la discussione aperta in questo momento.

In questo contesto cosa possono fare insieme i movimenti e le associazioni cattoliche?

Dal mio punto di vista posso dire che questa è una stagione molto fruttuosa, di grande condivisione, di grande sintonia, fra le varie aggregazioni, a livello personale ma anche a livello associativo. Abbiamo come Azione Cattolica eccellenti rapporti e molte collaborazioni in tanti campi con diverse realtà dentro gli organismi ecclesiali e al di fuori per costruire iniziative comuni. Forse da fuori risulta ancora poco evidente, ma è così in tante esperienze che coinvolgono la vita della Chiesa e del Paese.

Nel suo recente libro La P maiuscola. Fare politica sotto le parti, definisce il nostro Paese “diviso, arrabbiato”. Cosa possono fare l’Azione Cattolica, i movimenti ecclesiali, i cattolici per ricucire questo tessuto così lacerato?

Il nostro Paese necessita di persone coraggiose che compiano ogni sforzo per cercare i terreni comuni su cui poter incontrare chi la pensa diversamente, invece che sfidarsi in battaglie ideologiche tra diverse visioni del mondo, dell’uomo, della società, della religione. C’è bisogno di gruppi e associazioni che piuttosto che scavare nuovi fossati s’impegnino a colmare quelli esistenti. Creando spazi e occasioni di confronto, di discussione vera, non ideologicamente pregiudiziale e nemmeno urlata. Per offrire a chiunque l’opportunità di misurarsi seriamente con i problemi, per capirli meglio e perciò formarsi un giudizio maggiormente consapevole.

(Francesco Inguanti)