Il dopo elezioni abruzzesi è andato peggio del previsto per il governo Conte. Lo scontro sulla Tav è esploso tra 5 Stelle e Lega. L’autonomia differenziata per le regioni del Nord rimane un oggetto misterioso, spinto dagli uni e osteggiato dagli altri. L’Europa si è fatta platealmente beffe del premier, definito “burattino”. L’economia non dà segnali di ripresa. Il braccio di ferro sulle nomine non trova una soluzione. Il calo dei grillini nelle urne è stato più accentuato del previsto, il che ha contribuito a destabilizzare ulteriormente la situazione.



Matteo Salvini con il 27 per cento conquistato in una regione tradizionalmente non leghista si prepara a fare una scorpacciata di voti alle prossime europee. Il leader leghista sogna di ripetere l’exploit di Matteo Renzi di cinque anni fa, e naturalmente si prefigge di non ripeterne gli errori. Ma Salvini farebbe bene a leggere con attenzione i risultati usciti dalle urne abruzzesi. La Lega ha rosicchiato un po’ di consenso ai grillini, tuttavia il grosso del suo boom elettorale è venuto dagli ex elettori berlusconiani. La Lega cannibalizza il voto di centrodestra, ma non appare in grado – almeno per ora – di allargare il bacino dei suoi voti e conquistare nuovi consensi. Che invece fu l’operazione riuscita a Renzi, il quale cinque anni fa sembrò introdurre qualcosa di realmente nuovo nella politica italiana, cioè un progetto che aggregasse parte della sinistra e parte dei moderati.



L’astensione rimane elevata. Ma è un’estensione diversa da quella delle ultime elezioni. Il voto di protesta ormai è al governo. Chi si astiene è quella fetta di elettorato che non trova rappresentanza nel contesto di oggi, monopolizzato dal populismo e indebolito da un’opposizione senza progettualità, sia essa il Pd, Forza Italia o Fratelli d’Italia. Chi era deluso della vecchia politica ora manovra le leve del comando. Chi si astiene sono i delusi della nuova politica.

I politologi descrivono l’area dell’astensionismo come un buco nero. Invece è un “corpo” bianco, che attende un cavaliere bianco, una figura nuova che riporti competenza, polso, rapporti alla pari con i partner europei, chiarezza di idee in campo economico. Sono elettori pronti a “votare” uno come Mario Draghi. Il numero uno (in scadenza) della Bce ha tutti questi requisiti. E ha un popolo in attesa di normalità che lo attende a braccia aperte.



Se le fibrillazioni interne al governo dovessero deflagrare dopo le elezioni europee, la soluzione di palazzo per evitare le urne è già pronta. Ben pochi in Parlamento potrebbero negare il sostegno all’uomo che negli ultimi anni ha salvato l’Italia dal baratro finanziario con le politiche monetarie espansionistiche della Bce. Se lo ricordi Matteo Salvini, che sta cantando vittoria troppo presto.