Stando agli irriferibili sondaggi dell’ultima ora, oggi il voto in Sardegna per i 5 Stelle sarà un bis di 15 giorni fa in Abruzzo. Consensi in caduta libera e grande scivolata al terzo posto dopo il centrodestra e il centrosinistra. L’incognita riguarda le percentuali: i seguaci di Luigi Di Maio precipiteranno sotto il 20 per cento o resteranno sopra questa nuova (per loro) linea del Piave? Un anno fa, il 4 marzo, il Movimento nell’isola aveva raggiunto il 42 per cento. Diciamo che in 12 mesi si sono volatilizzati – sempre che le previsioni vengano confermate dalle urne – metà dei consensi. Sarebbe un risultato niente male. Negli ultimi mesi gli osservatori mettono in guardia Matteo Salvini dal cosiddetto “effetto Renzi”, cioè toccare (o superare) il 40 per cento dei consensi come capitò al segretario del Pd alle elezioni europee di 5 anni fa, e poi dilapidare il capitale elettorale in breve tempo. Ma al momento l’effetto Renzi sta colpendo Di Maio e i suoi al Sud.



Il ministro del Lavoro, tuttavia, si comporterà come due settimane fa: farà finta di niente e tirerà dritto. In questi 15 giorni, dopo la batosta abruzzese, ha portato a casa la presidenza dell’Inps e un sostanziale blocco della Tav in Piemonte, altro che ripiegamento. Niente male per uno sconfitto. Certo, M5s ha pagato il prezzo di negare il processo a Salvini, con il codazzo di polemiche sull’affidabilità della piattaforma Rousseau, ma il risultato non è da disprezzare: la Lega ha confermato fedeltà all’esecutivo e così i grillini, ormai più dorotei dei vecchi democristiani e più pragmatici degli andreottiani, resteranno al governo ancora per un bel pezzo.



La vera incognita, per loro e per Salvini, non sono gli appuntamenti elettorali. Anche chi è convinto che saranno le elezioni europee a creare uno spartiacque dovrà ricredersi. Il problema numero 1 si chiama economia. L’agenzia Fitch non ha modificato il giudizio sull’Italia. I mass media del nuovo regime l’hanno presentato come un trionfo di Giuseppe Conte & C. Pochi hanno ricordato che l’ultima volta che le agenzie si erano pronunciate sull’economia italiana l’avevano trascinata sull’orlo del baratro. L’ulteriore declassamento avrebbe provocato un tracollo del nostro debito pubblico. Ma le previsioni restano nere, con lo spettro di una manovra correttiva o addirittura di una patrimoniale, come paventa Silvio Berlusconi, rientrato alla grande sul palcoscenico politico.

In un continuo braccio di ferro di cui lo stesso premier Conte comincia a dirsi insofferente, Lega e M5s si sostengono come un castello di carte: l’una sorregge l’altra in un equilibrio molto precario; ma se un soffio di vento fa volare via una sola carta, tutta l’impalcatura crolla. È sull’economia, più che sull’autonomia, che le partite Iva del Nord misureranno Salvini. E il leader leghista, vero perno del sistema odierno, in grado di governare a Roma con i grillini e con il centrodestra nelle regioni e nelle periferie, deve inventarsi qualcosa sul fronte economico perché tra poche settimane il governo dovrà presentare il documento di previsione e dopo il voto europeo dovrà impostare la manovra d’autunno. Sempre che non sia costretto a improvvisare una correzione in corsa se le cose dovessero precipitare.

Il governo non riuscirebbe a reggere una manovra correttiva. Ma non è detto che, caduto Conte, il presidente Mattarella (sempre più insofferente dell’andazzo) conceda a Di Maio e Salvini di tornare subito alle urne. Più probabile che imponga un governo Draghi, un’emergenza in stile Monti che – non dimentichiamolo – prese i voti dall’esecutivo uscente (centrodestra) più il Pd. In questo momento la garanzia per i grillini di restare al governo è data dalla parola di Salvini. Ma davanti al rischio del baratro economico, il leader leghista riuscirà a tenere fede al patto con Di Maio?