“Non stiamo facendo una bella figura” ha detto ieri Salvini al Movimento 5 Stelle che sta bloccando il riconoscimento di Guaidó come presidente del Venezuela. Il ministro dell’Interno non ha perso l’occasione per replicare all’alleato di governo dopo che Di Maio sabato scorso ha sonoramente bocciato le aperture sulla Tav del collega vicepremier. Che si tratti di Venezuela, di Torino-Lione o di caso Diciotti, tra M5s e Lega sembra si sia toccato un punto di non ritorno, ma secondo Mario Sechi, direttore di List, la mancanza di alternative consolida – per ora – la coabitazione a Palazzo Chigi. Con tre variabili: la crisi, l’autonomia differenziata e i voti al Sud.
Davvero non c’è tregua.
C’è tanto rumore: per nulla, aggiungerei. In un sistema normale i governi vanno in crisi, ma qui di normale c’è ben poco. Siamo in una situazione eccezionale, con un governo di necessità. Questo esecutivo è l’unico format disponibile, non ci sono alternative.
Dunque Di Maio e Salvini non possono aprire una crisi?
Per andare dove e con chi? Il governo, dal punto di vista della coesione delle forze che lo compongono, è finito. Questo non significa che sia morto.
Una coabitazione forzata.
Una coabitazione necessaria. In questo quadro, M5s e Lega possono litigare su cose molto serie, ma sapendo che alla fine conviene ad entrambi trovare un accordo.
Eppure sulla Tav la tensione è alta.
Se la Lega non porta a casa la Tav è un problema. Per M5s invece è un problema se la Tav si fa. Però sarebbe un problema ancora maggiore, per entrambi, aprire una crisi di governo.
Perché i sondaggi continuano a premiare l’esecutivo?
La gente non è soddisfatta della politica economica di M5s e Lega, ma li voterebbe ancora perché hanno mantenuto intatta la capacità di alimentare la speranza di cambiamento. Le due cose non sono in contraddizione.
Che rischio corre M5s?
Che il reddito di cittadinanza non funzioni e che alla fine siano assunti soltanto i navigator.
E la Lega?
Che salti l’autonomia. La constituency di M5s sono gli italiani in cerca di reddito e protezione, quella della Lega sono le imprese del Nord. Autonomia nei fatti significa secessione dolce. Lombardia e Veneto, dopo un referendum dirompente che tutti hanno sottovalutato, vogliono l’autonomia differenziata per avere il controllo delle risorse. Questo fa ancora parte dell’immaginario del Nord ed è anche il patto fondativo della prima Lega di Bossi con il suo elettorato di riferimento. Salvini lo sa e deve fare presto.
Ma quella Lega non esiste più.
Al Nord esiste eccome. Alle imprese di Lombardia e Veneto non importa nulla o molto poco del partito nazionale che ha in mente Salvini.
Però sembra importare a Salvini.
Sì, ma per altre ragioni che non interessano i ceti produttivi. Salvini prende i voti del Sud sulla sicurezza e sull’idea di una leadership forte. Per il Nord l’autonomia differenziata è un’assicurazione sulla vita in tempo di recessione, un salvaguardia contro lo spreco di soldi al Sud.
L’autonomia spaccherà l’Italia?
Ma l’Italia è già spaccata, basta scendere sotto Firenze per vedere un altro paese. Anzi, la vera riuscita del governo gialloverde sarebbe proprio quella di tenere insieme il Sud in cerca di occupazione e il Nord produttivo. La novità, semmai, è un’altra ed è lo scontro generato dalla gestione condominiale.
Dovuto a che cosa?
A un imprevisto che ha cambiato i piani iniziali: i voti di Salvini sono destinati a crescere anche al Sud. Cifre importanti. Ma siccome il voto ravvicinato Salvini non lo avrà, e forse segretamente nemmeno lo vuole perché è troppo rischioso, si tratterà di vedere se e come il suo consenso al Sud si consolida nel tempo.
E poi per andare al voto occorre un Capo dello Stato disposto a sciogliere le Camere.
Infatti senza il sì del Quirinale è da pazzi lanciarsi in una crisi al buio. Quindi in queste condizioni a Salvini resta solo una cosa da fare, perdere tempo per prendere tempo. Il tempo che gli serve per dare l’autonomia al Nord.
Con le europee cosa può cambiare?
Il voto di maggio può essere lo spartiacque se le cose vanno molto male ai 5 Stelle, anche se non credo che accadrà. Potrebbero avere una flessione, ma non eccessiva perché tutto il Sud sta aspettando il reddito.
L’autorizzazione a procedere?
Mi auguro che venga respinta. Per i pentastellati votarla sarebbe un suicidio politico. Però è vero che sono capaci di tutto.
La Tav si farà? O finirà nel congelatore?
Dipende. I grillini avevano detto che avrebbero chiuso l’Ilva e l’Ilva è aperta; il Tap non si doveva fare e si fa, insomma non mi sorprenderei se anche sulla Tav si trovasse un compromesso. Salvini ci starebbe e con la Francia si può trattare. Il tema vero è cosa succede nella base a 5 Stelle con il sì alla Tav e nel voto pro-Lega al Nord con il no all’opera. Il rischio del cortocircuito è molto grande, ma torniamo all’inizio: nessuno apre una crisi se non è certo di poterla condurre.
(Federico Ferraù)