Nell’ultima audizione alla Commissione Lavoro del Senato, l’Istat ha presentato uno studio specifico sulla proposta del M5s sul salario minimo (il ddl a firma Nunzia Catalfo che fissa il minimo salariale in Italia a 9 euro lordi l’ora): ebbene, secondo le stime dell’Istituto di Statistica Nazionale, con l’aumento fissato dal Movimento 5 Stelle sarebbero circa 2,9 milioni di lavoratori che avrebbero un incremento medio annuo di retribuzione di 1073 euro. In questo senso, sarebbe coinvolto il 21% dei lavoratori dipendenti con un aumento stimato del monte salari pagati dalle imprese di 3,2 miliardi complessivi: insomma, se il ddl M5s dovesse diventare legge dello stato, un lavoratore su 5 potrebbe godere dei benefici di quell’aumento. Secondo un simile studio dell’Inps, la percentuale che ad oggi sono al di sotto del salario minimo a 9 euro lordi sale per le donne «(26% rispetto al 21% degli uomini), tra gli under 35% (38%), al Sud e nelle Isole (31%) e nel settore dell’artigianato (52%, rispetto al 10% dell’industria e al 34% del terziario)», fonte Sole 24 ore.
ISTAT, “COORDINARE SALARIO MINIMO COL RDC”
Secondo i risultati dello studio Istat presentati al Senato, ci sono comunque delle “cure” cui il Governo dovrebbe prestare molta attenzione onde evitare squilibri economici e sociali in un momento già di persistente difficoltà interne: «La definizione di un salario minimo deve essere opportunatamente coordinata con altri istituti presenti nel mercato del lavoro, non ultimo il reddito di cittadinanza», è il primo suggerimento lanciato dall’Istituto, subito seguito da un secondo «La scelta del livello del salario minimo deve contemperare due esigenze di segno opposto. Un salario minimo troppo alto potrebbe, infatti, scoraggiare la domanda di lavoro o costituire un incentivo alo lavoro irregolare, determinando quindi un ampliamento della segmentazione tra lavoratori e un’ulteriore marginalizzazione delle categorie più svantaggiate. Un salario minimo troppo basso, per contro, potrebbe non garantire condizioni di vita dignitose». Da ultimo, secondo il direttore della sede centrale entrate e recupero crediti dell’Inps, Maria Sandra Petrotta, «sia la giurisprudenza lavorista che gli studi economici del mercato del lavoro, hanno sollecitato giustamente l’esigenza di un salario minimo legale, tanto più se integrato con la contrattazione collettiva». Per il direttore del Cnel Tiziano Treu, «il salario minimo legale potrebbe garantire, in virtù di una maggiore forza prescrittiva, una protezione più efficace nei confronti dei bassi salari, riducendo la discrezionalità e gli abusi nella determinazione dei livelli retributivi» ponendo particolare attenzione per giovani e apprendisti.